Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Andrea Massaro.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«L’arte è una sensazione, una concezione diversa per ogni individuo. Non sempre il nostro privato è pubblico, ma la nostra società in generale ha ceduto la sua sfera privata al pubblico. Nei miei scatti provo a far trasparire anche quell’aspetto».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«La mia identità nell’arte contemporanea è, in un certo senso, impersonale. Il mio obiettivo principale è creare opere d’arte concettuali di nudo che sfidino le convenzioni tradizionali e invitino gli spettatori a riflettere sulle proprie percezioni di genere, identità e bellezza. Mi vedo come un catalizzatore, un intermediario tra il mio mondo creativo e quello degli spettatori. Le mie opere sono intenzionalmente ambigue e aperte all’interpretazione. Vorrei che ognuno facesse propri i racconti che metto in scena attraverso le mie fotografie. Ciascuno di noi porta le proprie esperienze, prospettive e emozioni nel processo di interpretazione artistica».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Per me personalmente, poco».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«La mia ricerca artistica ruota attorno al concetto di riappropriazione e rielaborazione dell’iconografia del passato e del presente. Nella mia pratica, mi ispiro a ciò che vedo e alle opere d’arte e alla cultura visiva che mi circondano. La rielaborazione di immagini e concetti esistenti è un modo per me di sfidare la percezione comune e di portare il passato e il presente in un dialogo creativo.
Il mio “valore di rappresentazione” oggi sta nell’abilità di reinterpretare e trasformare le immagini e i simboli esistenti, portando nuove prospettive e significati a ciò che potrebbe essere considerato familiare o scontato. Attraverso il mio lavoro, cerco di sollevare domande sulla natura mutevole dell’identità e della rappresentazione nell’arte contemporanea.
Inoltre, il mio approccio al ready-made e alla reinterpretazione delle immagini del passato e del presente mi consente di esplorare l’evoluzione delle nostre percezioni culturali. In un mondo in cui la riproduzione e la manipolazione delle immagini sono così diffuse, il mio obiettivo è far emergere nuovi strati di significato e spingere gli spettatori a esaminare più attentamente il mondo che li circonda.
In questo contesto, il mio “valore di rappresentazione” sta nell’apertura di nuovi percorsi di riflessione, nell’incoraggiare il dibattito e nel fornire uno specchio critico per la società contemporanea. La rappresentazione, per me, è un processo in continua evoluzione, una ricerca affannosa di nuovi modi per esplorare il sé e l’identità umana attraverso l’arte concettuale del nudo».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«La mia definizione come artista va al di là del semplice atto di creare opere d’arte. L’arte per me è un medium attraverso il quale posso esplorare e sfidare il mondo che ci circonda, inclusi i nostri “agire” pubblici, le dinamiche sociali, la nostra vita intima e le nostre identità.
Mi vedo come un artista che, attraverso il mio lavoro, cerca di catturare e reinterpretare le complesse sfaccettature della condizione umana. Il mio intento non è solo quello di creare opere d’arte che siano oggetti di contemplazione estetica, ma di creare opere che agiscano come specchi critici e che possano interagire con la realtà del mondo in cui viviamo».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«È una domanda difficile, penso che una figura nel mondo del cinema sarebbe l’identità più vicina alla mia attuale».
Andrea Massaro è nato il giorno in cui l’Italia perse la partita con la Francia durante i mondiali dell’86, in Sicilia. Si appassiona alla fotografia in adolescenza e compra la sua prima macchina fotografica all’età di 18 anni. Inizia fin da subito a creare scatti concettuali ma la tecnica è ancora acerba. Butta via tutte le foto create fino a quel momento, si esercita con la fotografia glamour e negli anni si dedica alla fotografia per commissione.
Frequenta un master con Oliviero Toscani nel 2016 e poco dopo chiude la partita iva e decide di smettere di fare fotografia per lavoro. Al momento lavora in un ufficio a Milano e realizza senza più vincoli le foto che gli è sempre piaciuto fare.
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