29 giugno 2024

Other Identity #118, altre forme di identità culturali e pubbliche: GioBlonde

di

Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo millennio: la parola a GioBlonde

GioBlonde, 2020, Analogico

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo GioBlonde.

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Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«La fotografia, la mia fotografia è strettamente correlata alla mia via vita. La fotografia nasce da una relazione. Noi siamo questa relazione. In differenti luoghi, ma uniti dallo stesso desiderio: comunicare in forma libera ciò che stiamo vivendo. Liberi da ogni tabù & condizionamenti esterni. Con l’obiettivo di creare trasformazione ed evoluzione per me & per chi entra in contatto con me. Anche le sezioni di performance che eseguo. Non c’è arte senza relazione nel mio Matrix».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«Tracce…che io chiamo crepe o “tatuaggi “tra cuore e pelle. La fotografia & le arti performative curano, illuminano. L’arte è un po’ il mio Kintsugi. Le crepe continuano a vedersi certo, ma c’è tutta una scia che le illumina. A volte torna il buio che io ricerco. Non c’è fotografia senza trauma. Ogni incontro è trauma ed evoluzione che gorgoglia coraggio e potere salvifico».

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Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«Sociale/Culturale mi rimanda al progetto fotografico @wildromagna__2022 creato insieme alla mia super socia @lulu_Withheld attraverso il quale tentiamo di lottare contro ogni forma di tabù, censure culturali sessuali. Una comunity ora. Un vero e proprio “spazio” artisti nato tre anni fa post Covid, tanta era la voglia di continuare a fotografare e fare arte.  Ora è diventato un book che è uscito a settembre 2023».

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Ciò che creo, ciò che dono (attraverso le performance si dona parte di sé della propria energia del proprio mondo) è il risultato di tracce del mio passato, della mia vita musicale, di ogni incontro, di tutti gli amanti, di ogni abbandono e lutto.

Di ogni libro letto. Di tutte le lacrime versate. Di tutti atti di gentilezza inaspettati e gli atti d’amore ricevuti. Di ogni luogo in cui il bene e il male si sono mischiati, di ogni specchio che ha incrociato i miei occhi: illuminato, a volte spaventato, arrabbiato o pieno d’amore.

Ogni specchio ha riflesso ciò che mai avrei visto da sola che non sapevo facesse parte di me».

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ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Non mi piacciono le definizioni. Ma ritengo di aver un cuore e mente wild, coraggiosi liberi. Si sono un’artista. Solo quest’anno ho preso coraggio e l’ho scritto pure in Bio. Credo che la cosa importante sia la capacità e la modalità di relazionarsi con la fotografia (nel mio caso) e con coloro che la guardano».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Nessun’altra se non la Gio che sono or ora. Che volevo essere. E quella che è in continua trasformazione».

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Biografia

Gio Blonde, psicologa, performer, fotografa e antimodel. Nata guerriera e libera. È diventata Dea della verità nella sua seconda vita. La fotografia è stata una “chiamata” come Gio ama definire il passaggio da una sorta di stato di coma a uno di rinascita e consapevolezza, attraverso di essa e i primi autoritratti. È entrata in contatto prima con la fotografia digitale e poi analogica circa 7 anni fa. Dopo diversi workshop con Enrico De Luigi, Toni Thorimbert, J. Benassi (ha realizzato la sua prima performance), Settimio Benedusi ed Efrem Raimondi. Ha cominciato a girare di notte tra bagni e rave, poi è arrivata al nudo come linguaggio per raccontare la sua verità.

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Sono iniziate le performance – Blindsession – quando Gio si è resa conto grazie alla madre cieca fotografa, che la macchina fotografica è solo un mezzo ed è solo attraverso lo scambio di energia, cuore e pelle che si può creare una trasformazione. Così ora le sue Blindsession sono realizzate durante i suoi workshop di fotografia (WildStage, con @wildromagna) e tra Europa e Italia.

Da circa un anno collabora con un collettivo di artisti @wildromagna_2022 : un progetto artistico nato con la socia @lulu_withheld durante il periodo Covid. La solitudine, la voglia di poter tornare a viaggiare, il desiderio di continuare a fotografare e rendere catartici lutti e perdite, ha portato a ri-scoprire la loro terra di origine, unite più che mai attraverso la fotografia. Ogni fotografia è testimonianza di amore, abbandono, fuga & ritorno. E lo hanno fatto attraverso Call, Workshop, esposizioni e performance, in cui appassionati di fotografia e artisti si sono uniti con la loro arte. Creando trasformazione e relazione. E il viaggio, questo viaggio, è così mutato durante il percorso ed è diventato questa enorme famiglia, la community di Wild Romagna.

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