Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Lulù Withheld.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«La possibilità di vedere le cose non per come esse sono (o non sono) ma per come il mio sguardo si posa su di esse, mediante la mia fotografia».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Mi chiamo Lulu Withheld, che è un nome d’arte e il suo significato è legato moltissimo all’identità. Nonché alla sua negazione pubblica. Withheld significa letteralmente “nascosto, non rivelato”. Tuttavia, mi auguro, che le mie foto raccontino più di quello che io possa dire».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Non mi è mai, e sottolineo mai, importato nulla delle “apparenze sociali e pubbliche”. Mai. Anzi. Mi fanno venire il voltastomaco quelle apparenze e coloro i quali ci sguazzano, più o meno felicemente».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Il valore di rappresentazione penso sia strettamente legato all’entropia. Potrei dire qualcosa come Sono, poiché sono stata. Oppure Sarò, perché ero».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Dovrei guardarmi con quegli occhi!».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Qualcuno tipo Julian Assange, forse».
Ha compiuto studi artistici alla fine degli anni ’90. Poi ha girovagato per il mondo in cerca di se stessa, e della sua controparte. Girando qualche video, facendo qualche mostra, raccontando qualche storia. E infine è tornata al punto di partenza, alla fotografia. Il primo grande amore della sua vita.
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