Categorie: Fotografia

Other Identity #127, altre forme di identità culturali e pubbliche: Giuseppe Petrilli

di - 14 Settembre 2024

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Giuseppe Petrilli.

Other Identity: Giuseppe Petrilli

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«Quella per le espressioni dell’essere umano ascrivibili al mondo dell’arte è una passione che si subisce ed è sicuramente dettata da una sensibilità superiore, almeno ciò è quanto succede a me. L’arte è una maniera non comune di esternare le proprie emozioni e sensazioni, un modo innato di comunicare, complesso e naturalmente semplice al tempo stesso. Per me è stata, ormai venti anni fa, il grimaldello per compiere un vero e proprio atto di coraggio, quello di sdoganare attraverso le mie opere concetti ritenuti “inopportuni” in un contesto sociale pressoché impreparato e provinciale. Ho contribuito a rendere l’erotismo una cosa “reale”, qualcosa che si potesse guardare e di cui si potesse parlare pubblicamente, non un semplice concetto da sussurrare».

Giuseppe Petrilli, _Ex_Voto_ series, 2019, foto dipinta a mano

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«Nasco come artista figurativo autodidatta e facendo arte con pennelli e matite, la fotografia inizialmente è stata un mezzo, un passaggio quasi obbligato attraverso il quale concretizzare e congelare l’idea, per poi, attraverso essa, giungere all’opera compiuta, che fosse un dipinto, un disegno o un lavoro digitale.

Col tempo ho percepito che alcuni scatti non vanno disegnati o dipinti, ma devono rimanere tali per conservare la loro forza e suggestione, per cui ho intrapreso la realizzazione di una produzione fotografica parallela. Il mio approccio alla fotografia volutamente non è “tecnico”, ma è dettato dall’istinto che ritengo essere il vero motore della genesi creativa, tant’è che considero il mezzo fotografico un modo alternativo di disegnare ed applico ad esso lo stesso approccio che ho con carta e matita.

Nel processo creativo cerco di ricreare situazioni riconducibili all’immaginario erotico comune e non, in maniera da tenere elevata la tensione emotiva di chi osserva l’opera, tutto questo mi affascina e mi diverte al tempo stesso, in quanto mi permette di giocare in maniera irriverente e provocatoria con lo spettatore.

Con le mie opere ho sempre cercato di rappresentare semplicemente la realtà, a volte in maniera cruda e spregiudicata, ma soprattutto ludica e giocosa. Ne faccio un modo per fermare quell’attimo in cui persone comuni, che qualcuno definirebbe insospettabili, decidono di mostrare se stesse in maniera lasciva, provocatoria, senza limiti di sorta, in una sola parola “vera”, esibendo il loro lato più nascosto, senza restrizioni, così da intimidire attraverso la propria fisicità mostrata, chi le guarda. Attraverso i miei scatti o le mie opere il soggetto ricerca e trova quella parte di identità recondita, costretta, relegata in cantina che magari, anche nella restrizione di una legatura shibari, trova finalmente la via di liberarsi e librarsi in maniera catartica».

Giuseppe Petrilli, _Ex_Voto_ series, 2019, foto dipinta a mano

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«Oggi sicuramente essere presenti su certe piattaforme è un must. Il mio rapporto con i social però è molto controverso in quanto è fatto di continue censure e inutili ricorsi, aperture di nuovi profili e ripartenze da zero-followers, tutto ciò è espressione di quella che chiamo “ipocrisia da social”, in quanto si usano pesi e misure diverse, sulla base della logica del numero di followers, il tutto dissimulato dietro la finzione del fantomatico logaritmo censore. Questo non mi permette di rappresentare l’esatta versione di me e del mio lavoro, essendo in qualche modo costretto ad allinearmi a ciò che loro vogliono che io proponga.

Ben vengano i mezzi che riescono a diffondere l’arte e a convogliarla verso un pubblico numeroso, i social potrebbero essere tra quelli, ma ritengo non siano quelli giusti affinché l’arte ne benefici nella maniera giusta.

Inoltre spesso ci sfuggono i pericoli che possono derivare da un uso sbagliato di internet e di certe piattaforme. Sempre più spesso non si considera che il mondo virtuale sia soltanto una proiezione di quello reale e affidare alla rete le nostre emozioni, le nostre sensazioni, la nostra intimità significa sovraesporsi, con le conseguenze che ne possono derivare da una società, purtroppo e paradossalmente, sempre più in difficoltà a livello relazionale, considerando la progressiva perdita di quella curiosità che muove il desiderio di conoscenza dell’altro sulla base dei rapporti umani.

Naturalmente anche a livello artistico e percettivo delle immagini internet ha prodotto, in maniera determinante, dei grandi mutamenti. Siamo vittime di un continuo bombardamento visivo: un’immagine viene osservata, metabolizzata e dimenticata in pochi secondi, perché ce n’è subito un’altra da osservare, metabolizzare e dimenticare. Questo, in un certo senso, rischia di sminuire l’immagine stessa, esautorandola del valore di “opera d’arte”.

Inoltre la facilità con cui oggi si riesce ad accedere a determinate forme espressive come la fotografia fa sì che chiunque possa sentirsi in diritto di scrivere nella propria biografia la parola “artista”, senza aver mai fatto esperienze di sorta nel mondo reale. Sta a noi, quindi, al nostro occhio, alla nostra sensibilità, alla nostra capacità critica l’ormai difficile compito di riconoscere cosa è degno di assurgere ad opera d’arte a discapito di altro e a conferirle il giusto valore».

Giuseppe Petrilli, Quarantine, 2020, Virtual Shooting

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«È proprio così e ritengo debba essere così.  Infatti anche mio obiettivo primario è stato sempre quello di lavorare per ottenere uno stile che fosse personale e riconoscibile cercando di realizzare opere che fossero assolutamente “originali”, pertanto ho sempre fatto in modo di avere dei soggetti esclusivi. Credo che questa sia una cosa fondamentale per chi fa arte.

C’è anche da dire però che molto spesso il riferimento a grandi artisti che fanno parte del nostro background, che abbiamo guardato, ammirato, studiato, spesso è inconscio e a ciò non si può sfuggire, credo sia un processo naturale e comune ad ogni artista».

Giuseppe Petrilli, The couch from the 70s series, 2023

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«La definizione di artista credo oggi sia molto abusata, soprattutto sui social, appunto, tanto che spesso se ne svilisce il suo valore intrinseco. Personalmente mi piace definirmi un creatore di immagini che ricorre a svariati mezzi e tecniche per cercare di rendere visibile quello che non lo è».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Essere Jimi Hendrix».

Giuseppe Petrilli, untitled, 2020, Polaroid

Biografia

Giuseppe Petrilli è nato a Lucera (Fg) nel 1970 dove vive e lavora. La sua attività artistica, quasi essenzialmente di matrice erotica, comprende la pittura, l’illustrazione, la digital-art e la fotografia. In particolare la serie erotica Piante Carnivore, nata nel 2006, è il risultato di una personale ricerca volta a trovare la giusta alchimia tra il gesto artistico più classico, il disegno, e le tecniche digitali, al fine di utilizzare e sviluppare le numerose soluzioni espressive che esse offrono.

Giuseppe Petrilli, untitled, 2020

La serie True_Fakes (2012) è un’ulteriore evoluzione di tale interazione e consiste in manifesti “veri” di film inventati, ispirati ai b-movies degli anni 60/70. Dopo il progetto In the mirror, consistente in una serie di ritratti di donne che allo specchio mostrano il lato più naturale della propria sensualità attraverso un “selfie” e la serie Flash-Sketch Challenge in cui le followers dei social media diventano muse per le sue opere, è del 2020 la serie-esperimento Ex_voto che coniuga fotografia e pittura, consistente in fotografie erotiche stampate in piccolo formato e dipinte a mano.

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