Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Romina Tanka.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Il mio corpo è sempre al centro della mia arte, sia che si tratti di performance, autoritratti o foto. Per me è un veicolo per comunicare e trasmettere emozioni, soprattutto nella performance che è alla base della mia ricerca artistica. Nelle mie azioni eseguo gesti e movimenti che mi spingono ad andare oltre i confini convenzionali, creando un’esperienza viscerale per lo spettatore.
Ma non è soltanto performance fisica, nel mio lavoro c’è una profonda componente spirituale, sono affascinata dall’idea che il corpo umano possa essere uno strumento di connessione con il divino.
Attraverso la mia pratica artistica cerco di esplorare questa dimensione sacra del mio essere. La mia ricerca spirituale si basa sullo studio delle tradizioni religiose e delle culture antiche, cerco di capire come queste influenzino la nostra mentalità e la nostra concezione del corpo e del sé.
La mia arte diventa uno strumento per interrogarci sul nostro posto nel mondo e sulla ricerca di significato e di connessione. La scelta del luogo per le mie performance è cruciale; la location diventa parte integrante della mia creazione, influenzandone il significato e l’impatto. Attraverso l’interazione con lo spazio circostante cerco di creare un dialogo tra il mio corpo, l’ambiente e lo spettatore. Ed è per questo che sono attratta dalla semplicità e dalla purezza degli spazi naturali, ma anche dalla complessità e dalla storia dei luoghi urbani.
In definitiva, il mio corpo è il mezzo attraverso il quale esprimere la mia visione artistica e la mia ricerca spirituale. È attraverso di esso che cerco di comunicare, provocare riflessioni e connettermi con gli altri».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«La mia identità nell’arte contemporanea si concentra sull’esplorazione del corpo come strumento di espressione e di sfida alle norme sociali. Attraverso azioni di spogliamento o vestizione cerco di mostrare il mio lato interiore e di svelare la mia dualità e la ricerca di una dimensione mistica.
Molte delle mie opere si sviluppano nel corso del tempo, con una serie di azioni che si susseguono. Durante l’esecuzione, la performance si trasforma e genera nuovi simboli e significati che possono essere poi incorporati in performance successive. Il corpo diventa così un simbolo e un’arma per sfidare le convenzioni sociali e per esprimere la mia identità, diversità e libertà».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Ciò che m’interessa maggiormente è il mio percorso personale di ricerca e crescita, non la gratificazione pubblica o il riconoscimento sociale immediato. La realizzazione delle mie opere e dei miei autoritratti richiede tempo e dedizione e spesso trascorrono mesi o addirittura anni tra un’opera e l’altra. La mia arte è il risultato di un intenso lavoro interiore e profonda riflessione. Non è tanto l’apparire agli occhi degli altri, quanto dare espressione alle mie emozioni e alla mia visione del mondo».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Cerco sempre di trasmettere autenticità e immediatezza. Penso che il rapporto con il passato e con ciò che ci circonda sia inevitabile, nelle mie azioni c’è sicuramente un riferimento a opere e artiste che hanno operato nell’ambito della performance, perché è da li che parte la mia ricerca.
Mi piace l’essenzialità e cerco di eliminare il superfluo, evitando di sovraccaricare le mie opere di significati troppo complessi. Cerco sempre di fare del mio lavoro un qualcosa che appartenga soltanto a me, le azioni sono brevi e fugaci, quasi effimere e allo stesso tempo cerco di renderle uniche. L’importante per me è che il messaggio che voglio comunicare sia chiaro in quel momento specifico».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Sì. Da quando, quasi inconsapevolmente, ho realizzato la mia prima performance ho capito che tipo di artista volevo diventare».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Nessuna in particolare, sicuramente quella che sono diventata. Avrei voluto conoscere Gina Pane di persona o assistere almeno a una sua performance dal vivo. La sua arte e il suo coraggio nel sfidare i limiti del corpo e dell’arte concettuale mi hanno sempre affascinato, sarebbe stato incredibile poterla incontrare e discutere con lei delle sue idee e della sua visione dell’arte.
Infine, avrei voluto anche esplorare l’identità culturale dei nativi americani. Sono sempre stata affascinata dalla loro storia, dalla loro connessione profonda con la terra e dalla loro ricca tradizione artistica. Sarebbe stato interessante vivere in un ambiente in cui l’arte e la spiritualità sono parte integrante della vita quotidiana».
Romina Tanka è nata il 1 giugno del 1983 a Sassari, città dove vive e lavora. Dal 2003 al 2009 ha studiato decorazione all’Accademia di Belle Arti di Sassari, dove ha maturato l’interesse per la performance art degli anni ’60 e ’70, in particolare per il lavoro di alcune esponenti della body art tra cui Gina Pane, che è diventata il suo punto di riferimento e tema di studio per la tesi di diploma. Dopo i primi lavori in Accademia caratterizzati da azioni performative, sia davanti a un pubblico sia con installazioni e proiezione di video, ha proseguito il percorso artistico realizzando diverse performance e partecipando a varie mostre collettive.
Lo spazio extra del museo MAXXI di Roma ospita un progetto espositivo che celebra la storia della Nutella, icona del…
Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo…
Come non luogo non sono male: Fattoria Vittadini celebra 15 anni con uno spettacolo che intreccia potere, fragilità e condivisione,…
Traffic Gallery ospita, fino al prossimo 22 febbraio, “Middle Way”, una mostra variegata ed emozionale in cui il segno, la…
Tra habitat post-apocalittici e futuri misteriosi: la prima personale di Davide Allieri alla Triennale di Milano fino al 19 gennaio…
Tra gli ultimi progetti firmati da Zaha Hadid, l’Hotel Romeo Collection di Roma apre le porte: arte, architettura, design e…