07 dicembre 2024

Other Identity #137, altre forme di identità culturali e pubbliche: Carola Allemandi

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Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo millennio: la parola a Carola Allemandi

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Carola Allemandi.

Carola Allemandi

Other Identity: Carola Allemandi

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«La rappresentazione in arte credo in verità che abbia sempre almeno una parte nascosta, in ombra, da trovare. Sta a noi che cerchiamo la responsabilità di dare un volto, anche incerto, a ciò che ci appare. L’arte, che spesso in verità vedo coincidere con tante altre parole – e quindi realtà – della vita, anche quotidiana, è una sorta di cammino verso una figura che ci chiama (forse, addirittura, che ci aspetta) e a cui dobbiamo dare per forza una forma per poterla comprendere e restituire».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

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«Temo di non sapere con precisione quale sia la mia identità nell’arte contemporanea. Forse per carattere, ma non riesco a curare con attenzione le caratteristiche che voglio evidenziare o nascondere».

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«L’apparenza sociale e pubblica per me ha pochissima importanza. Ben più importanza possiede semmai la presenza sociale e pubblica: cosa si fa, come ci si muove nel mondo, più che come si appare. Sento, di volta in volta e in base alle circostanze, più o meno l’esigenza di conoscere situazioni, realtà, persone unicamente per studio, ricerca, scambio di idee o semplice curiosità. Tutto ciò che riguarda la cura della propria immagine, o il messaggio che a essa si può legare, ha per me un rilievo del tutto trascurabile. Uso i social per presentare il mio lavoro e le mie attività, per archivio; appaio, o meglio, compaio nel mondo laddove si presenti uno dei motivi che ho citato sopra».

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Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«La rappresentazione a mio avviso deve coincidere sempre con chi le dà vita: essere una seconda pelle, un’estensione naturale del suo autore, assecondandone le pulsioni, i vuoti, le allucinazioni. Il mio valore di rappresentazione si trova là dove attraverso l’immagine riesco a dare una risposta o formulare altre domande su ciò che reputo di dover raffigurare. La rappresentazione è sempre un tentativo, il tentativo di camminare, sanare il sentiero dove si presenta non percorribile».

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ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«È più facile che mi definisca una fotografa, o più in generale una persona che lavora nel campo della fotografia: ogni sfaccettatura delle attività che mi trovo a svolgere compongono infatti un unico solido. Fotografare su commissione, scrivere per le riviste, insegnare a scuola o all’Università, sono le varie attività che, insieme ai lavori di ricerca che espongo in fiere e gallerie, in ugual misura alimentano il mio pensiero sulla fotografia, le sue possibilità, i suoi significati».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Attualmente non penso a ciò che avrei voluto essere, sto “camminando”. Vorrei semmai sviluppare al meglio, secondo le mie capacità, le varie identità che già mi è capitato finora di “indossare”, e che mi permettono di sviluppare quotidianamente piccoli tasselli di pensiero attorno al mondo della rappresentazione fotografica».

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Biografia

Carola Allemandi, nata a Torino nel 1997, è fotografa e autrice. Dopo il liceo si forma “a bottega” nello studio di un fotografo torinese. Oltre all’attività di ricerca condotta in collaborazione con la galleria torinese Dr Fake Cabinet di Marco Albeltaro e Pablo Mesa Capella e a quella commerciale, scrive di fotografia per alcune testate come Doppiozero, Snaporaz, Siamomine e cura l’editoriale Il contatto degli occhi col reale per la rivista Torino Magazine. È assistente del Prof. David Vicario per il corso “Tecniche della Fotografia” al Politecnico di Torino.

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Nel 2021 vince il Premio Zenato Academy per la fotografia in occasione della fiera The Others Art Fair, Torino; è finalista al concorso indetto dall’Istituto Italiano di Cultura di Praga, in cui espone nella mostra collettiva Isolation/Et Cetera; partecipa alla residenza Arte Kunst Val Taro a Bedonia (PR) organizzata dai galleristi Bianca Maria Rizzi e Matthias Gernot Ritter. Nel 2022 pubblica il libro fotografico Presenze sui suoi primi lavori di ricerca per Atb Associazione Culturale di Torino con testi di Maria Erovereti.

 

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