Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana abbiamo raggiunto Serena Biagini.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Per me la fotografia, che è il linguaggio con cui mi esprimo, rappresenta la possibilità di raccontare me stessa senza esprimermi in prima persona. Nei miei lavori cerco infatti di portare alcuni aspetti e tensioni della mia vita su un registro più ampio e condivisibile».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«A seconda dei progetti, utilizzo sia me stessa, mettendo a nudo la mia identità, sia delle modelle che, in fin dei conti, rappresentano il mio alter-ego. Non solo: nelle ricerche che sto conducendo ultimamente, attingo anche a materiali di archivio; in quel caso mi raffronto con persone esistite ma sconosciute, dando a loro una nuova vita e una nuova individualità».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Ciò che conta, per me, è poter portare sostanza autoriale in ogni aspetto del mio lavoro di ricerca, anche quando esso, non sottraendosi alla contemporaneità, confluisce in piattaforme basate sull’apparenza e sul flusso».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Ogni autore porta con sé un bagaglio artistico, iconografico, letterario, musicale che lo ha formato e lo indentifica. Nel mio caso, subisco l’influenza di grandi artisti del passato come Caravaggio o i preraffaelliti, così come di registi contemporanei quali David Lynch, che mi aiuta a sondare gli aspetti più perturbanti. Per questo motivo ritengo che il valore di rappresentazione aumenti in proporzione alla qualità e alla coerenza delle fonti a cui consapevolmente attingiamo».
Il nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Nessuno può rilasciarsi da solo delle patenti, tantomeno quella di artista. Sicuramente l’ambito in cui lavoro e diffondo la mia fotografia è quello dell’arte contemporanea».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Avrei voluto essere l’Agente Cooper de ” I segreti di Twin Peaks”, per restare in tema lynchano…».
Serena Biagini, nata a Sassuolo nel 1983, è una fotografa contemporanea che utilizza il linguaggio della fine art, sia analogica che digitale, come strumenti di interpretazione di storie legate al proprio vissuto.
Gli elementi della natura, così come l’acqua, gli animali e il corpo, diventano una sorta di messa in scena di emozioni antiche che spaziano dalla difesa, alla transizione, all’identificazione e alla ricerca di libertà, ricreando inconsciamente un atto ripetuto di rinascita che di volta in volta prende forme e sfumature nuove.
La natura, i corpi, l’acqua, l’auto-ritratto, diventano spazi e luoghi interpretativi attraverso i quali è più facile parlare di emozioni che altrimenti non riuscirebbero a venire fuori. Dunque, l’atto creativo diventa un tentativo di riappropriarsi dei bisogni primari di essere umano, e della vulnerabilità negata, cercando di ridisegnare un percorso desiderato, che parte dal grembo materno, e attraversa svariate fasi della crescita, alla ricerca continua della propria identità e posizione nel mondo.
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