Dido Fontana, Autoritratto con sigaro e cappello alla frutta 2021
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Dido Fontana.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Nel mio caso, il mio privato è privato. Ciò che mostro invece è l’esposizione esteriore della mia vita interiore che cambia continuamente con l’esperienza. Faccio foto perché è un mezzo veloce che mi permette di mantenere alto il livello dell’energia durante l’esecuzione. La parte di ragionamento o meditativa viene prima, una preparazione di ricerca necessaria per far si che al momento della foto sia tutto chiaro in testa».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«L’identità personale non la si crea ma ci è data come qualcosa di molto ben definito che non cambia ma evolve dalla natura assieme alla cultura personale che viene esposta poi nel sistema. Tutti i tentativi di rimescolare o modificare sono delle perdite di tempo. L’identità artistica invece è la cultura che si sviluppa sempre e comunque a partire da archetipi, anche – e soprattutto – in maniera non cosciente. La mia identità è una cosa e l’identità dei miei lavori è altra».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Poco o niente».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«L’onestà non sofisticata, che messa in pratica significa raccontare ciò che si conosce bene con ostinazione. Modellare il nuovo sul vecchio succede quando non si è capito il passato. L’affannosa ricerca del sé per sperare in una nuova identificazione è come un cane che si morde la coda. Prima di ricercare nuovi valori di dovrebbe comprendere e radicare quelli vecchi».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Sì e lo dovremmo essere tutti. Le creazioni – grandi o piccole – devono essere presenti nel quotidiano e a qualsiasi livello, pena lo scivolamento in frustrazioni e inappagamento. La cosa più difficile è capire cosa ci rende felici, ma appena lo si comprende tutto va liscio come l’olio».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Quella che mi appartiene. Quella che mi fa scappare dallo zoo».
Dido Fontana, nato in Italia, 1971. Il suo background è old school essendo cresciuto nella camera oscura del padre. Qui ha imparato le basi della fotografia, ha esplorato la gamma di possibilità giocando con tutti i tipi di media e infine ha definito il suo stile molto personale. Sebbene il suo lavoro possa sembrare spontaneo, ogni dettaglio è pianificato con cura, risultando in un’immagine tecnicamente perfetta in ogni aspetto, dall’illuminazione all’outfit.
Guardare ogni tipo di immagine e cultura, studiare i corpi e sollevare pesi, conoscere se stesso e la propria storia, e mescolare cultura alta e bassa, definiscono l’opera di Dido Fontana. La sua mente è una pletora di immagini e la fotografia fa parte del DNA di Dido. Ma è solo il mezzo: l’unica cosa che conta è l’umanità. Dido è il personal trainer della fotografia.
«…in frullatori, adrenalina, vitamine, salute; o lo stesso Dido Fontana, guru, clown, re», Denis Isaia, Curatore / Mart Museum.
Le sue opere sono state esposte in gallerie d’arte di tutto il mondo e collabora con numerose riviste. Nel 2007 vince il primo premio come Miglior Foto al Pitti Immagine Award.
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