Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Roger Weiss.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«È un percorso delicato decidere come dare forma al proprio modo di percepire la realtà. In questo processo, la mia rappresentazione di arte si rivela in uno sguardo sull’uomo contemporaneo, spogliato dei due elementi che contraddistinguono la sua ricerca: perfezione fisica e il potere/ruolo attuale della mente».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«La mia identità si manifesta attraverso una visione dialettica rivolta a poche e sempre le medesime domande esistenziali. Un po’ come nell’apparizione del proprio “Sé” allo specchio, unito al modo che si ha di percepirsi senza toccarsi.
In relazione al ruolo attribuito alla ghiandola pineale per Cartesio, immagino la mia identità nell’arte contemporanea alimentata da un incessante punto di incontro/scontro tra il mio interno e privato, e quella sfera connessa a manifestazioni esterne e pubbliche; che cerco di convogliare in un canale dinamico, attraverso cui lasciar fluire e decodificare l’insieme di flussi legati a più dimensioni possibili, per spingermi verso l’essenza delle cose: privare l’essere umano del suo costruito e portarlo alla sua forma originaria».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Rifletto sul fatto che, nel nostro contesto sociale, la comunicazione che avviene tra persone per mezzo di tutto quanto è pubblico, è un bene con un ruolo sempre più rilevante/condizionante. L’apparenza sociale è interpretare/interiorizzare l’altro attraverso una lettura legata prima di tutto alla sua fisicità, il suo corpo, dunque, la sua estetica. Non avviene invece, come primo approccio, attraverso lo scambio tra le nostre parti più intime e interiori. In questa mancanza di condivisione, legata al nostro lato più oscuro, auspico, nell’apparire pubblicamente, una volontà di “frizionare” insieme queste due realtà, rendendo più particolareggiato l’apparire del nostro “Io”».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Rimanere fermo nell’idea che ogni essere umano rappresenti un singolo tentativo. Uno sforzo di esistere oltre alla propria affermazione fisica».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Ogni qual volta si parla di etichette, decido di fermarmi per un momento a riflettere sulla mia attuale percezione di questa, o quella classificazione, che immagino serva a semplificare complessità altrimenti impossibili da sintetizzare in una formula piramidale. Vorrei, piuttosto, considerarmi un uomo in cammino che, attraverso un determinato linguaggio, cerca di dare forma alle proprie piccole scoperte».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Mi regalo l’abbaglio di autogovernare i passi che scandiscono il mio viaggio, anche relativamente alla mia identità di “creativo”. In questa condizione di effimera libertà, mi manca il mordente per immaginarmi altrove».
Roger Weiss è un artista di origine svizzera, vive e lavora in Ticino. Si è diplomato, con lode, all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, IT. Il punto focale del suo lavoro, nel suo personale approccio di decostruzione/ricostruzione fotografica, è osservare il corpo con tutti i suoi presunti difetti, volumi e fragilità, e riportarlo idealmente alla sua forma “archetipa”.
La sua ricerca è contraddistinta da opere fotografiche iperdettagliate di grande formato, che nascono da centinaia di singoli scatti assemblati insieme. L’uso che fa del mezzo fotografico è quello di un “archivista” che raccoglie e cataloga dettagli ripetitivi, che poi riorganizza in modo da sfidare la nostra visione del corpo e della bellezza convenzionale.
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