Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana abbiamo raggiunto Marco Pietracupa.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
La mia rappresentazione di arte è attraverso l’immagine, la fotografia e mezzi digitali, spesso attingendo al mio intimo sia visivo che concettuale. L’intimo visivo è quando fotografo i figli, i partner, la mamma, la sorella me stesso (il privato), è concettuale quando fotografo le mie angosce, le paure, le gioie (emozioni). In questo modo posso scegliere qualsiasi cosa del mio mondo privato che voglio far diventare arte (pubblico), è una scelta. Tutto può esserlo, se per me ha un senso artistico concettuale ed estetico. È eccitante, come spogliarsi nudo, o solo far vedere un frammento difronte al tuo pubblico.
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
La mia identità nell’arte contemporanea attinge al mio intimo, al mio presente e al mio passato. Alla mia luce alle mie inquadrature. La mia identità è in continua evoluzione, muta nel tempo, insieme alle mie esperienze e agli esperimenti che conduco. Le tracce si trovano nelle mie fotografie: il rapporto con la natura e il bosco; l’esplorazione del corpo, mio e degli altri, l’incontro con la luce, gli esperimenti sul colore in digitale.
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
La comunicazione digitale è una cosa attuale e funziona, per cui gli do la giusta importanza. Ma per me apparire sui social vuol dire sopratutto promuovere il mio lavoro. Attraverso la pubblicazione social del mio lavoro, espongo automaticamente il mio intimo, che non vuole dire cosa mangio e cosa faccio. Ciò che è finto o vero dipende da te, se sei vero nella vita lo sei anche sui social e viceversa.
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
Il più grande valore è il sé, trovare il proprio sé ha un grande valore nella vita perciò anche nell’arte. Il valore della fotografia va oltre il plagio e oltre la riedizione. Le fotografie oggi possono farle tutti, ma un fotografo fa come tutti e diversamente da tutti, cercando un linguaggio che sintetizzi il sentire del momento. La fotografia è di tutti e oltre tutti, la fotografia che fatica ad essere “d’autore” continua a affermarsi come tale, soprattutto per le nicchie.
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
Dal momento in cui ti denudi, direi che puoi definirti artista agli occhi del mondo, e io lo faccio. Come spiego sopra, aprirti e lasciare che le persone vedano chi sei anche nel profondo, questo lo fai esponendo arte. Gli occhi del mondo sono di quelli che guardano e che riesci a toccare dentro, e a emozionarli. Sono i miei insieme a quelli di chi guarda: tu dai e loro ricevono. Ti metti a nudo, mostri davanti agli occhi di tutti il tuo sentire, il tuo sguardo attraverso un’opera. Quanto più l’opera è aperta, tanto più gli altri vi troveranno il loro sguardo dentro.
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
Dal benzinaio sotto casa fino al Papa, poi ho conosciuto me e ho sorriso. Riesco a vedere in tutto sempre anche il lato bello: sia nel Papa che è uno degli uomini più famosi e influenti e potenti, sia nel benzinaio che è un comune essere morente. L’identità culturale è anche la storia che ti sta intorno: per me la storia dell’alto adige, poi quella metropolitana di Milano e di Parigi. La mia identità pubblica intreccia il fotografo di moda e l’artista. Tutta la tua vita e quello che ti sta attorno influisce nella mia evoluzione.
Marco Pietracupa, nato a Brixen (Sudtirol-Italia), si trasferisce a Milano all’inizio degli anni novanta per fare della sua passione una professione. Dopo aver frequentato l’Istituto Italiano di Fotografia ha iniziato a lavorare professionalmente e pubblicare negli ambiti dell’arte, della moda e del ritratto. Lavora tra Milano, Parigi e Londra.
Le sue foto sono state pubblicate da Arena, Alla Carta, Aishti, Dry Magazine, D Repubblica, Elle, French, Flair, GQ, Glamour, Grey, How To Spend It, Hunter, Hercules, Harper’s Bazaar, L’Uomo Vogue,L’Officiel, L’Optimum, Leadies, Numerò, Pop Magazine, Parterre de Rois, Rolling Stone, Studio, UnFlop, Vice, Vogue Russia, Wallpaper. Mostre da Vice Gallery-Milan, Le Dictateur-Milan, Business Gallery-New York, Brownstone Foundation-Paris, Marsèlleria-Milan, Stadtgalerie-Brixen, Asni Gallery-Addis Ababa, Museo del Cassero-Monte San Savino-Florence, Festung Franzesfeste-Brixen, Triennale-Milan, Prisma Gallery-Bolzano, Mannerheim Gallery-Paris. Ha pubblicato il volume Shapeshifter, edito da Yard Press.
Le sue immagini sono crude, con uso impietoso del flash, e sembrano “sbagliate”, nate per caso o per errore. Le inquadrature, tagliate, scomposte, appaiono accidentali.
Le immagini di Pietracupa sono inaspettate e talvolta inquietanti, forse è da questo che deriva il loro fascino. Le sensazioni contrastanti sono le più affascinanti.
Marco Pietracupa lo sa bene, o almeno lo “sanno” le sue fotografie che ritraggano eleganti modelle o parti dei loro corpi, objet trouvés o opere d’arte, celebrità o parenti: le sue immagini crude, con uso impietoso del flash, sembrano “sbagliate”, nate per caso o per errore. Le inquadrature tagliate, scomposte, appaiono accidentali.
Le immagini di Pietracupa sono inaspettate e talvolta inquietanti, forse è da questo che deriva il loro fascino, un po’ come quelle associazioni psichiche che affiorano dalla superficie torbida del dormiveglia. Il risultato è sempre e comunque sofisticato, di elegante disincanto e dal tocco surreale e con una cifra autoriale ben riconoscibile, quel velo di “pietracupaggine” che le fa emergere, nonostante tutto, nel mare magnum visivo a cui siamo esposti quotidianamente dai social e dalle pubblicità.
Tratto da: Immagini “sbagliate”: intervista a Marco Pietracupa, di Caterina Longo.
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