Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Romolo Giulio Milito.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«L’atto, consapevole o meno, di indurre una destabilizzazione della norma. Una interrogazione del fruitore e, ovviamente, di colui che genera. Ed una successiva crisis, nell’accezione greca del termine».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Ipotizzo (osservarsi dall’interno non è mai banale) che sia quella di un ricercatore. Di fatto, il termine ‘ricerca’ mi lascia molto più sereno e mi è molto confortevole. Se non si è così stolti da supporre di possedere una qualsivoglia verità, allora classificarsi come dei ricercatori suona molto più leggero ed intellettualmente onesto».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Dipende dalla società. La nostra è ben poco incline ad uscire dalla sua comfort zone. So che la società è quella che noi (e dunque anch’io) costruiamo, tuttavia culture e valori possono essere molto divergenti all’interno di una stessa società. Per cui, di mio, posso ritenere irrilevante il conformarmi a valori sociali che ritengo superati e/o deleteri, tuttavia il feedback che la società rilascia sulla base del modo in cui appari, saremmo ingenui a ritenerlo irrilevante. Questa però non è una mia responsabilità. Il giudizio sociale è una responsabilità di chi lo scaglia. Di mio, mi limito a rimanere coerente con i valori che posso avere costruito nel tempo, consapevole di aver la possibilità di modificarli qualora mi accorgessi che risultassero lesivi per me o per altri».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«La contaminazione culturale è un de facto, negarla nel tentativo, appunto affannoso, di voler affermare un io isolato, differente e magari superiore, è semplice arroganza. Siamo animali sociali, ci influenziamo su ogni aspetto della nostra vita. Un valore a cui aderisco e che forse mi rappresenta è questo: l’influenza reciproca. Nelle nostre differenze e nelle nostre imperfezioni si cela il valore, se non mi faccio influenzare cosa genero?»
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Mi ricollego alla seconda domanda è voglio rispondere di no. Mi definisco un ricercatore, appunto. L’attribuzione del valore metafisico dell’artista è un qualcosa che, in ogni caso, non potrebbe mai essere appannaggio mio. Sarebbe un atto di autoreferenzialità, peraltro molto contemporaneo, nello schema di convenzioni sociali attuali. Il valore materialista del ricercatore, invece, mi interessa moltissimo. Delle tracce, materiche, profondamente materiche, è ciò che mi piacerebbe lasciare agli occhi del mondo».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Quella filosofica. La quale costituisce la radice di ogni mia ricerca. Che si esprime poi in rami e foglie di testo o immagini o esperienze che si tendono alla ricerca del sole».
Romolo Giulio Milito (alias lundesnombreux). Nell’86, all’età di otto anni, comincia la sua attività fotografica con foto ricordo famigliari e sprecando rullini sui porti. In pochi anni acquisisce la competenza tecnica per essere speso come fotografo all’interno dell’attività imprenditoriale di famiglia. Nel ’96, dopo la morte del padre, sospende ogni attività fotografica per una decade. Nel 2006 riprende a produrre collaborando con due agenzie minori e sviluppando nuove competenze in ambito digitale, senza abbandonare la produzione chimica. L’attività, pur dignitosissima, di fotografo gli sta stretta: la produzione di book, composit o set commissionati eterodiretti gli forniscono pochi stimoli. Il risultato è sempre all’altezza dei desiderata del committente, ma non di quelli dell’autore.
Nel 2009 alcuni fortunati incontri con persone che lasciano grande libertà autoriale indicano la via. La libera ricerca di lundesnombreux si basa da allora sull’epochè. Uno spazio all’interno del quale le parti desiderano incontrarsi sospendendo il giudizio proprio e altrui. I concetti di set fotografici, pose, luci e finanche le convenzioni sociali vengono abbandonati. Ne scaturisce una fotografia dell’incontro, intimista e minimale, basata sul dialogo, sul consenso e sull’epochè, appunto. lundesnombreux espone nel 2012 al Besate Photofestival e nel 2019 alla seconda edizione di Other Identity.
Nel 2020, la scure della censura social cade su quasi tre lustri di attività. A seguito di questo evento l’autore scrive l’articolo “delle morali universali” e su queste riflessioni fonda il collettivo Patient Wolves . Il collettivo ha come obiettivo la libertà del linguaggio autoriale e si basa su soli tre cardini: fotografia analogica, epochè, consenso.
I lupi pazienti attualmente producono una fanzine trimestrale, dei momenti formativi e dei momenti di produzione condivisa (patientwolves.org). L’espressione francese l’un des nombreux, traducibile come l’uno dei tanti, si consolida in un’unica egida. Per l’autore ha due significati, uno palese, l’altro occulto al pubblico. lundesnombreux si scrive in minuscolo.
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