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Other Identity #88. Altre forme di identità culturali e pubbliche: Carlo Buzzi
Fotografia
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Carlo Buzzi.
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Un post condiviso da CARLO BUZZI | Arte Contemporanea – Public Art (@carlobuzzi.it)
Other Identity: Carlo Buzzi
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Direi che la mia rappresentazione di arte – sia per quanto riguarda il tipo di operazione che ho condotto, come pure in senso generalizzato – riguarda il “linguaggio” e l’ambizione, tramite la prassi artistica, di introdurre termini inediti all’interno dello stesso. Dunque io la vedo in senso autoreferenziale. Arte per l’arte dove, in fin della fiera, non esiste privato e nemmeno pubblico. Nel caso specifico, avendo operato nel contesto urbano, si potrebbe dire che il mio “privato” diventa “pubblico” nella più sua ampia definizione e, dunque, ci sarebbe una contraddizione rispetto a quanto vado affermando! E’ così all’apparenza (e in affetti anche concretamente) ma, per quanto riguarda le mie intenzioni, le azioni di public art che ho realizzato avrebbero la stessa valenza – proprio perché intendono mettere in atto una strategia che si vorrebbe relazionare essenzialmente al linguaggio – anche se condotte in luoghi e città deserte (dunque senza alcun pubblico)».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«La mia identità si riscontra, come cercavo di spiegare al punto precedente, come prassi all’interno di un linguaggio. Nelle operazioni pubbliche ho utilizzato la mia immagine, quindi, se vogliamo, una mia personale identità, ma ciò in una misura aletoria e subordinata al fine di un’operazione concettuale complessiva in cui, una pur espressa – e talvolta anche caratterizzante – identità personale, non rappresenta certo il significato preponderante».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Rispondo citando una recente riflessione di Emilio Isgrò: “Oggi se non sei omologato, non arrivi, non ti considerano. Alcuni artisti sono altamente quotati per motivi ignoti; c’è tanta apparenza, poca ricerca e poca sostanza”. A conferma basta seguire su Instagram certi “personaggi” tipo Damien Hirst e le gallerie più “influenti”, Gagosian, Perrotin, ecc…».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Nel contesto dell’arte, facendo riferimento a ciò che trovo in rete – da tempo frequento molto poco in prima persona – non vedo alcun nuovo valore di rappresentazione e men che meno discussioni che abbiano carattere critico! Mi pare ci sia, da un lato, una difesa dei cosiddetti “valori consolidati” e, da un altro, nessun coraggio da parte degli operatori del settore, ancorati ad anacronistiche “visioni” (novecentesche direi)».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Se capita, per comodità, semplicità… è un termine imbarazzante da attribuirsi per come è stato sdoganato negli ultimi decenni».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Non me ne viene in mente nessuna! Ma avrei voluto essere nato “già imparato” in maniera tale da avere la possibilità di costruirmene una più soddisfacente rispetto a quella che ho maturato nella corrente esistenza!».
Biografia
Carlo Alberto Buzzi è un artista italiano, conosciuto per i suoi interventi di public art nel contesto urbano. Si serve degli strumenti propri della comunicazione pubblicitaria. Opera interventi che coinvolgono il contesto urbano. Normalmente utilizza il comune poster tipografico. Un significativo numero di manifesti viene esposto in pubblica affissione. L’operazione è documentata fotograficamente. Il lavoro sarà in seguito formalizzato grazie alla produzione di un numero limitato di “quadri” (riproduzioni fotografiche, manifesti “strappati”).
Carlo Buzzi ha realizzato la prima opera-operazione “pubblica” nel 1990 in collaborazione con il gallerista Luciano Inga-Pin di Milano. Si trattava di una pagina di pubblicità acquistata sulla rivista Flash Art. L’inserzione riproduceva centralmente un comune scopino da bagno, nella parte superiore la scritta “PICASSO”, nella parte inferiore la didascalia “orario 20-22”. Nel 1991 un soggetto simile fu esposto a Milano su manifesto tramite pubblica affissione, canale espressivo in seguito privilegiato dall’artista.
Costruzione formale (la simulazione di “finto evento”) e prassi (esposizione con tasse regolarmente pagate, mai abusiva) indicano l’intenzione di introdursi nel sistema della comunicazione pubblica in “punta di piedi”, contrapponendosi ad esperienze artistiche espresse nel medesimo contesto – contemporanee o appartenenti ad un recente passato – connotate da impronte ideologiche.
Dalla riproposizione del tema Picasso/scovolino/mostra d’arte artefatta, ad altri “provocatori” e improbabili incontri (Van Gogh con una grattugia), Buzzi esplora il dualismo arte/pubblicità in reali, e nello stesso tempo fittizie, campagne pubblicitarie. Nel 1994 realizza un manifesto che lo riproduce semplicemente ritratto di schiena, il primo privo di alcun altro indizio.