Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Javier Gallego Escutia.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Tutt’ora cerco di mantenere una certa riservatezza sulla mia vita privata, sebbene questo diventi sempre più difficile. Ci sono pochissime informazioni su di me in quanto artista, ma immagino che la mia arte, essendo più concettuale che documentaristica, riveli molto sul tipo di linguaggio figurato che mi interessa. Rappresenta un’estetica della distorsione e della trasformazione, e idee anticonformiste su ciò che è visivamente interessante e bello».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Identità è una parola difficile. Posso essere definito in vari modi ma tutti sono sostanzialmente limitati. Potrei dire che sono un ‘artista queer’ ma questo non rappresenta la mia prospettiva per intero poiché sono cresciuto in una società eteronormativa. In ogni caso, il significato di essere ‘queer’ è così vasto e vario così come lo è il significato di essere eterosessuale e di tutto ciò che sta in mezzo. Allo stesso modo, riguardo al genere, stiamo iniziando a comprendere quanto le cose possono essere molto più fluide. In qualità di uomo queer, tuttavia, ho sempre capito che la nostra concezione di maschile e femminile va ben oltre il rigido binario di genere al quale siamo abituati ad aderire. La mia arte mostra le sensibilità maschile e femminile e, qualche volta, spero anche una diversa.
Quindi essere un ‘artista queer’ non mi serve in quanto tale, nella misura in cui esso potrebbe fornire al pubblico un indizio che indichi il tipo di arte che potrebbero aspettarsi da me. Semmai, potrei voler sfidare le loro aspettative e mostrare loro qualcosa di diverso».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«La mia visibilità pubblica e sociale non è ciò che mi motiva. Tuttavia, uso Instagram perché è un mezzo a impatto molto visivo e mi ha messo in contatto con una comunità di artisti che non sarei stato in grado di raggiungere in nessun altro modo. Inoltre, ho trovato un pubblico che altrimenti non avrei potuto incontrare facilmente. Questo tipo di visibilità può rivelarsi molto gratificante e mi ha anche portato a realizzare progetti e instaurare collaborazioni interessanti».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Penso che sia qualcosa che cambia costantemente e da parte mia accolgo questa evoluzione. Cerco di non essere legato dalle idee di sé del passato. Noi esseri umani come possiamo progredire e imparare se rimaniamo attaccati a idee che ci fanno comodo riguardo alla nostra identità e che potrebbero non essere necessariamente vere? Sebbene sia difficile lasciar andare il passato, voglio comprendere chi potrei essere oggi e accettare il fatto di poter essere qualcun’altro domani».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Artista è una parola così carica di significato e usata così tanto che ha perso la sua accezione. Sono una persona creativa e presento la mia arte al pubblico, quindi mi definisco un artista, ma non è un termine che mi piace molto. Agli occhi di qualcuno sono un artista, per qualcun altro quello che faccio non è arte. Sostanzialmente, il processo creativo è più importante per me, rispetto a al modo in cui il mondo mi percepisce. Se non presentassi la mia arte al pubblico, continuerei a fare arte, come ho sempre fatto».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Penso che mi piacerebbe essere un regista di Hollywood come Billy Wilder o Alfred Hitchcock. L’intera fase di produzione cinematografica mi affascina. Anche se io stesso ho realizzato cortometraggi, si è trattato di un processo piuttosto modesto, sperimentale e isolato, con influenze esterne molto ridotte. Vivere la folle età d’oro del cinema e del sistema degli Studios di Hollywood su tale scala sarebbe un’esperienza straordinaria!».
Nato da genitori spagnoli, Javier Gallego Escuzia è un artista londinese. Si è laureato in cinematografia e arti fotografiche e successivamente ha studiato fotografia professionale al London College of Printing. Lavora principalmente con questi due mezzi, ma recentemente ha anche sperimentato il suono e la musica, il che ha aggiunto un’altra dimensione interessante alla sua produzione.
I suoi film e video sono stati proiettati in festival cinematografici in Europa, Canada, Stati Uniti e Regno Unito. Le sue fotografie sono state esposte a Mosca, Atene, nel sud della Spagna e in varie località di Londra, tra cui la National Portrait Gallery. Il suo cortometraggio, My Life In Nail Bars (A Plane Crash In A Food Court), è stato selezionato per gli SHOWstudio Fashion Film Awards 2019.
Nel 2022 partecipa su invito del curatore Francesco Arena, alla terza edizione di “Other Identity – Altre forme di identità culturali e pubbliche” (19 Marzo-16 Aprile, Genova, Guidi&Schoen-Arte Contemporanea e PRIMO PIANO di Palazzo Grillo).
I temi ricorrenti dei suoi lavori sono alterità, astrazione, distorsione e trasformazione. Nella sua poetica c’è un rifiuto della bellezza convenzionale e un desiderio di trovare eccitazione visiva in luoghi inaspettati. La sua intenzione è quella di presentare un’idea o un’estetica diversa: un’estetica meno ovvia per sfidare ed espandere i nostri modi di vedere spesso intolleranti.
Le immagini video di Escutia sono rappresentazioni surreali della forma umana che ti attirano e ti sfidano a decostruire e comprendere la loro disposizione fisica. Non sono conformi alle norme sociali su genere, bellezza o fisico. Esistono con un diverso insieme di regole: un linguaggio visivo che li distingue e ci invita a ripensare la nostra idea di identità.
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