Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Jordi Alessandro Bello Tabbi.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Ricerco la rappresentazione tangibile della meraviglia. Tramite l’utilizzo di quello che ho definito “human sculpting” il mezzo fotografico, così legato al reale e ai fatti presentati di fronte all’obiettivo, viene meravigliato e ingannato da scene al di sopra della realtà. Situazioni fuori dalla contemporaneità degli eventi che non sono solo un astratto dipinto, ma vere e proprie sculture e performance che lasciano anche solo per il momento di una fotografia, un’impronta sulla terra. La creazione di una meraviglia artefatta, che protesta velatamente contro i dogmi del reale».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«La mia identità nasce e si aggrappa fortemente al mio bagaglio etnico culturale. Il misticismo ed esoterismo sudamericano, una cultura fortemente legata ai classici europei, un interesse cosmopolita, la voglia di sovvertire canoni tradizionali morbosamente arrugginiti, mi permette di identificarmi, e di creare punti di raccordo. Punti spesso dolenti, in cui si celano, insieme all’occasione di raccontare storie ai più esotiche, molti pregiudizi. È in questi punti che mi identifico e che opero».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«L’artista vive per raccontare la propria arte a un pubblico. Non è l’artista il protagonista ma le sue opere, spesso ho visto il contrario».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«La rappresentazione deve essere testimonianza ed emissaria di un cambiamento che si vuole vedere nel mondo».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Ho avuto sempre un po’ timore della parola artista, forse un po’per la delegittimazione che questo termine ha avuto negli ultimi anni o forse perché penso che ci si possa definire qualcosa solo nel momento che lo si può in qualche modo dimostrare. L’autodeterminazione è parte fondamentale e laboriosa del percorso artistico. Ad oggi io sono e mi definisco un artista».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Tutto quello che avrei voluto essere non è altro che tutto quello che cercherò di diventare».
Jordi Alessandro Bello Tabbi (1994) nasce a Roma e vive l’infanzia in Colombia. Le tradizioni e l’esoterismo tipiche della cultura latinoamericana si fondono quindi con un’educazione classica europea, che sarà la base del suo immaginario. Dal 2017 lavora nello studio Lost and Found di Roma, nel quale coltiva e affina il suo linguaggio artistico: l’esuberanza barocca delle figure e dei colori mitigata da una composizione minimalista e severa genera immagini distaccate e fortemente simboliche.
I suoi ultimi progetti (Idoli, 2017; Devotion, 2019; Cardinali, 2020) sono spinti dal su bisogno di comprensione dei pilastri fondanti della cultura, dei simboli e delle icone che la definiscono. Un’indagine trasversale sulle origini delle tradizioni e della fede raccontate e filtrate da un linguaggio visivo volutamente criptico, dove i piani di interpretazione diventano molteplici. Definisce la sua arte come “Human Sculpting”, la creazione di sculture umane che vengono inseguito fotografate. Dal 2018 è direttore artistico di Flewid, magazine internazionale di arte e moda. Dal 2022 è direttore ed editor in chief di Impeached, magazine internazionale di arte contemporanea.
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