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Paris Photo 2019 all’insegna dell’impegno: il nostro report
Fiere e manifestazioni
La 23ma edizione di Paris Photo prende il via al Grand Palais con 180 gallerie provenienti da 31 Paesi, 29 solo e 13 duo show, 27 film, più di 330 incontri con artisti internazionali, 33 editori e 12 mostre. Diretta da Florence Bourgeois e dal direttore artistico Christoph Wiesner, Paris Photo 2019 si conferma essere tra le più belle fiere dedicate alla fotografia storica e contemporanea.
Cosa abbiamo visto a Paris Photo 2019
Paris Photo si disloca tra il settore principale, Prismes e Curiosa, ai quali si aggiunge la sezione film, quella dedicata all’editoria e una ai dibatti e alle conferenze. Documentaria o intima, coloratissima o in bianco e nero, astratta o figurativa, la fotografia a Paris Photo si apre sotto il segno dell’energia e dell’impegno. Si va da quello politico con Qiniso, Durban (2019) di Zanele Muholi, foto ufficiale dell’evento presentata dalla Yancey Richardson di New York e dalla sudafricana Stevenson. Muholi è una fotografa attivista, residente a Johannesburg, che attraverso i suoi lavori mette in luce la comunità nera queer e trans affinché il mondo conosca la loro resistenza di fronte ai crimini di odio in Sudafrica e altrove. Per arrivare all’impegno sociale della malgascia Malala Andrialavidrazana presso la Caroline Smulders, che esplora con il collage fotografico l’eredità visiva dell’era coloniale e il suo impatto sulla nostra percezione del mondo.
Ambientale è l’attenzione di Roberto Huracaya (Lima, 1959), in esposizione presso la Rolf Art di Buenos Aires. L’artista sudamericano, insieme ad altri professionisti, è stato invitato dall’organizzazione ambientale WCS a Bahuaja Sonene, a partecipare a un progetto intorno alla riserva naturale situata nella foresta pluviale amazzonica nel sud-est del Perù. Bellissima la serie di fotografie aeree di Paolo Pellegrin presso la Magnum Photos, in cui il fotografo italiano, insieme alla spedizione IceBridge della NASA, documenta l’impatto dei cambiamenti climatici sull’Antartico.
La newyorchese Jenkins Johnson Gallery presenta un solo show di Ming Smith, la prima donna a far parte del collettivo fotografico Kamoinge, il cui principio fondamentale era documentare la vita dei neri. Gordon Parks diceva di lei che «le sue immagini meravigliose, danno vita eterna a cose che avrebbero potuto essere dimenticate». Le sue opere sono esposte, tra gli altri musei, al Museum of Modern Art di New York, al Whitney Museum of American Art, al Brooklyn Museum e alla National Gallery of Art.
La parigina Dominique Fiat presenta Nicola Lo Calzo con Memorie e persistenza della schiavitù coloniale: un’indagine fotografica 2010-2020, un progetto intorno alla questione della schiavitù degli africani durante quattro secoli. La fotografia ritorna come strumento di potere e liberazione anche per la tedesca Sara-Lena Maierhofer (1982) che, alla berlinese Feldbush Wiesner Rudolph, presenta un lavoro sulla decolonizzazione. Provocatorio il lavoro di Mari Katayama (Gunma, 1987) presso la parigina SAGE, che abbiamo visto al Padiglione Centrale e all’Arsenale della Biennale di Venezia di quest’anno. L’artista giapponese, amputata di entrambe le gambe, usa il proprio corpo come scultura vivente.
La curiosità rinvigorisce le fotografie
A Paris Photo 2019 troviamo anche tante curiosità, come la fotografia medica di Lennart Nilsson (1922) presso la Stene Projects di Stoccolma, con una serie di cliché, anche a grande formato, intorno a embrioni e feti umani del 1965, una delle collezioni fotografiche più vendute al mondo. La Parrotta Contemporary Art presenta la serie documentaria Weltraum (Roma 2014-2015) di Timm Rautert, si tratta di ventuno foto a colori in cui ritrae sale deserte e illuminate a giorno, dei Paesi membri della FAO – Food and Agriculture Organization of the United Nations. C’è poi il tocco eccellente di Man Ray presso la Gagosian ma anche Paolo Gioli alla romana Del Cembalo, mentre la Photo & Contemporary di Torino presenta una collettiva intorno alla performance corporea, in cui troviamo Franco Fontana, Giovanni Gastel e artisti emergenti quali Angela Lo Priore e Pietro Privitera.
Il settore Prismes riunisce progetti eccezionali dai grandi formati che esplorano gli usi del mezzo fotografico nelle sue pratiche più diverse. Troviamo Federico Luger di Milano che presenta Igor Eŝkinja, la Metronom di Modena con Olaf Breuning e Spazio Nuovo di Roma con il progetto Ferite-feritoie di Marco Maria Zanin. Quest’ultimo lavora dal 2017 su archivi di oggetti, ospitati in musei locali della cultura e del patrimonio, per restituire loro un nuovo sguardo. Nella serie qui presentata, l’artista padovano ha utilizzato delle vecchie pialle di falegnameria di suo nonno, che ha trasformato in sculture per poi fotografarle su un fondo bianco. Un’operazione dai molteplici significati, che toccano temi come quelli dell’archetipo, della memoria e della modernità.
Aperta fino a domenica, la fiera parigina, propone ancora tanti altri interessanti lavori, vedi il duo show di Chiavacci Gianfranco e Gottfried Jager presso la Die Mauer (Prato) e Sous Les Etoiles (New York), o quello di Gina Pane e Penny Slinger presso la londinese Richard Saltoun.