Categorie: Fotografia

Scenari Urbani: fotografare è mettersi in relazione con se stessi. Gli scatti di Francesca Iovene

di - 12 Agosto 2024

Francesca Iovene vive a Milano e lavora nel mondo. La sua ricerca si concentra sulle atmosfere anche emotive che l’architettura può scaturire, per mettere in scena la vita quotidiana, attraverso fenomeni unici e ricorrenti, soggettivi ed oggettivi che caratterizzano i luoghi, facendoli apparire familiari, e tuttavia sempre diversi.

In una tua intervista dici che la fotografia rappresenta il tuo rapporto con quello che stai guardando, la fotografia come tramite della tua relazioni con i luoghi. Cosa intendi?

«La fotografia mi ha sempre permesso di creare un legame con gli spazi in cui mi trovo. Sicuramente è per questo che nel mio archivio mentale dei ricordi di vita vissuta, ho spesso in mente dei precisi fermo immagine, visioni che ho fotografato o almeno voluto fotografare – e poi magari per un qualche motivo non è successo; ma rimangono comunque ricordi. Ma se è vero che la fotografia non ritrae la realtà, la foto di un luogo non rappresenta quel luogo ma la mia relazione con esso. Mi viene in mente un estratto di Duane Michals in Maledetti fotografi: Per il New York Times ho fatto un autoritratto in cui ero di spalle, veniva inquadrata la mia testa mentre leggevo un libro, e nel libro stavo scrivendo ‘I think about thinking’. Il punto è che io passo gran parte del tempo a leggere e a pensare a ciò che sto leggendo, e questo è più realistico di un autoritratto che mostra la grandezza del mio naso o il colore dei miei occhi. A chi importa quale è il mio aspetto? Importa di più sapere come funziona la mia mente e dove arriva la mia immaginazione”. Mi piace sempre ricordarmi di questo passaggio, perché sento che quando fotografo un oggetto, una luce, un momento di una architettura, sto esattamente facendo la stessa cosa: fotografo il mio rapporto con l’oggetto, e quindi anche il soggetto (io)».

Per un periodo hai vissuto a Berlino, città molto diversa da quelle italiane: cosa ti ha trasmesso a livello sensoriale, visivo, estetico?

«Ho vissuto a Berlino quattro anni, e non sono sicura di riuscire a parlarne a livello fotografico, e forse anche a livello personale, in un certo senso. Berlino ha senza dubbio rappresentato lati del mio carattere che non avevo ancora conosciuto – o riconosciuto – e questo credo lo facciano tutte le città in cui capita di vivere anche temporaneamente. È stato difficile comprenderla e ho dovuto fare i conti con differenze e somiglianze: perdere qualcosa per ritrovare qualcosa.

Non ho mai avuto la pretesa di volerla raccontare, e quando pensavo di trovare temi interessati più “oggettivi” da sviluppare, presto capivo che non funzionavano: andavo sempre a bloccarmi e a cercare me stessa. Su Berlino sono ancora in elaborazione, ho capito quanto sia un frammento di una storia più grande su cui per ora sto facendo ricerca. Le città sono gli scenari per raccontare altro, l’architettura è un mezzo e la fotografia il centro, in un certo senso».

Berlino 2023
Berlino 2021

“Qualcosa che mi riguarda, qualcosa che ho già vissuto e di cui ho memoria”. Trovo interessante questa tua interpretazione del legame tra fotografia vissuto e ricordo.

«Come dicevo prima, se tutto parla di me, anche il ricordo è parte di questo dialogo continuo. Ma più precisamente ciò che ho iniziato a coltivare maggiormente è la mia ossessione tra “differenza e ripetizione” di cui parla anche Deleuze. Ricordo bene una immagine che ho fotografato in Polesine, sul Delta del Po, durante una campagna fotografica organizzata da Ikonemi. Durante una delle prime esplorazioni del territorio, alloggiavo con amici fotografi in una casa, e in una delle stanze da letto entrava della luce dalla finestra, filtrava dalla condensa sul vetro e oltre la tenda, illuminava lo spazio in maniera diffusa. Mi ha colpito perché in quel momento ci ho riconosciuto ogni luce di ogni finestra, come un eterno ritorno di un vissuto sempre uguale e sempre diverso, di cui tutti facciamo esperienza. Allo stesso modo, la sedia è un oggetto che mi riporta al concetto di famiglia e di casa, come la città, il paesaggio urbano o naturale: sono elementi ricorrenti che si combinano a partire da un’idea astratta del fenomeno osservato, e scatenano reazioni che posso cogliere, elaborare e fotografare per rappresentare il familiare e il diverso allo stesso tempo».

Parli di stati d’animo della fotografia, un dispositivo di memoria percettiva.

«Riprendendo le parole di Serena Marchionni, curatrice con Ikonemi di una residenza artistica ad Acquasanta Terme del 2020, in un testo di accompagnamento al mio progetto Elviro: Ogni immagine è uno stato d’animo, un movimento interiore di ricerca di familiarità e prossimità con lo spazio che diventa “casa”. Come dicevo prima, è tutto alla base della mia pratica e ricerca fotografica, che talvolta, come in questo momento, rallenta e lascia spazio a una rielaborazione solo di pensiero, e altre diventa azione e riesco a trovare luoghi e stimoli che mi servono per riassumere e chiudere dei concetti o archiviare dei ricordi».

“Memoria del Salitre” 2017

Le tue foto hanno la cifra comune della luce dell’alba, che non credo riguardi solo un aspetto estetico. Cosa significa per te quel momento della giornata e come lo trasponi su quello che stai riprendendo?

«C’è stato un lungo periodo in cui svegliarmi all’alba, o anche prima, mi veniva naturale, e quindi ho iniziato a scoprire quanto mi piacesse quel momento della giornata, a discapito della sera o la notte, di cui subisco, al momento, meno il fascino. Anche in questo caso quindi la fotografia segue la persona, come sempre insomma. Per me l’alba non è solo un momento in cui tecnicamente preferisco scattare per avere una luce morbida ma brillante e fredda senza essere cupa, ma è la rappresentazione di uno stato d’animo che potrei descrivere come un misto tra nostalgia e ricerca continua di una calma che solitamente contraddistingue la maggior parte dei miei pensieri, non essendo una persona molto tranquilla internamente. Poi nell’arco degli ultimi mesi sto sperimentando altri momenti della giornata, allineandomi al mio disordine del sonno, quindi possiamo dire che questo 2024, che segue un 2023 molto riflessivo e poco “pratico”, è un anno pieno di scoperte e sperimentazioni».

Milano 2021
Milano San Felice 2019
Milano 2019

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