A cura di Scenario, piattaforma dedicata ai linguaggi visivi e alle poetiche riferite ai paesaggi umani, “Scenari Urbani” è un progetto di indagine sulle intersezioni tra fotografia, territorio e comportamenti antropici contemporanei. In questa puntata Karina Castro racconta la sua serie fotografica “Human domination on Earth” realizzata tra il 2019 e il 2021, raccontando le tracce umane e le storie dietro a ognuno dei luoghi rappresentati.
Karina Castro è una fotografa e ricercatrice visuale di origine portoghese, che vive a Milano. Concentra la propria indagine artistica su questioni sociali e politiche contemporanee. Con il progetto Domination on Earth, sviluppato tra il 2019 e il 2021 indaga la relazione tra le azioni umane sul paesaggio e contesto ambientale, e le conseguenze evolutive, percettive e comunitarie che da queste derivano.
Con la serie ‘Human domination on Earth’ hai dichiarato di voler in qualche modo creare maggiore consapevolezza sulla dominazione dell’uomo sul territorio. Ma quello che credo emerga evidente è una lettura in controluce, ovvero una sorta di educazione all’immagine del contesto ambientale. Ti riconosci?
«Credo che sia un’interpretazione, uno dei possibili livelli di lettura. Il mio primo interesse è quello di poter creare uno spazio aperto dove poter interrogarsi, creare un’opera che invita al pensiero, alla contrarietà e nuovi punti di vista».
Emerge in qualche modo una grazia estetica, quasi a non voler indurre ad una lettura necessariamente di sola dura denuncia, ma invece orientata agli aspetti positivi dell’evoluzione tecnologica: ma pare uno sguardo propositivo e piuttosto raro, nel cogliere il progresso scientifico. Vedere per comprendere: è così?
«Esatto. C’è un approccio che si disfa di ogni tipo di giudizio morale che porta lo spettatore a mettersi in una posizione scomoda alla ricerca del “giusto e sbagliato”. Per quanto riguarda il progresso tecnologico, la serie riflette la veloce transizione energetica: dai combustibili fossili alle nuove tecnologie come il fotovoltaico che vent’anni fa erano quasi inesistente. Mi verrebbe da dire che l’evoluzione umana è legata all’evoluzione tecnologica e questa evoluzione – frutto di fenomeni di lungo periodo – si riflette sul paesaggio».
Come è strutturato lo sviluppo di questo progetto?
«Si tratta di un meccanismo di cause, effetti ed esigenze. Inizialmente l’opera è stata pensata in ambito abbastanza ampio – avrei potuto dedicarmi alla trasformazione dal paesaggio dall’era del bronzo ad oggi – ma ho deciso di ristringerlo dagli anni ’70 al nostro paesaggio contemporaneo per successivamente elaborare le immagini tramite la scelta del colore, composizione e formato che potesse legare questi luoghi visivamente. Non è stato facile, ma mi sono divertita».
Che tipo di ricerca attui nella scelta dei luoghi, per esempio, quale il luogo ti ha più colpito? Il progetto avrà una continuazione?
«I luoghi hanno un peso molto specifico in questo progetto, anche perché dovevano essere a doppio taglio, in un solco tra una percezione positiva e una negativa. Inoltre, ogni luogo – scelti per la diversità tra di loro – ha una sua storia: il PV Floating technology rappresenta il nostro paesaggio contemporaneo e fa parte del programma svizzero 2050 climate strategy. La Caniçada Dam, invece, è un riferimento del periodo della dittatura : Franco e Salazar tramite le dighe, legittimavano il loro potere per costruire eredità, storia.
Il progetto lo considero concluso e attualmente sto lavorando sul nuovo progetto abbastanza aperto visivamente alla sperimentazione».
Consideri questo tipo scatti una documentazione di paesaggio contemporaneo? O invece documentazione della deformazione del paesaggio?
«Probabilmente non saprò mai la risposta. Penso che ognuno la vedrà a modo suo, come è giusto che sia».
Come hai detto altrove, credi che la fotografia possa essere uno strumento per migliorare la percezione del nostro contesto? Dalla percezione consapevole si passa poi all’azione responsabile?
«Mi piace pensare all’arte e al suo impegno etico, estetico, al suo potere di trasformare, far alzare lo sguardo, portare informazioni, emozionare e svelare meccanismi. In fin dei conti, se il medium fotografico ha o meno il potenziale per portare l’essere all’azione al punto di superare la propria impotenza riflessiva, non saprei dirlo, preferisco pensare che sia un insieme di fattori, non solo l’arte, a portare un individuo ad agire».
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