Francis Delacroix è il nuovo astro nascente della fotografia. Da Lucio Corsi ai Maneskin passando per il mondo della moda e la trap, ha immortalato luci e ombre del variegato panorama artistico italiano e non solo. Le sue opere rompono la quarta parete, catapultandoci in realtà oniriche e allucinate. Le sue narrazioni sono ambientate nel limbo di una Milano surreale, dove si muove una nuova e poetica generazione beat. Lo scorso giugno ha presentato la sua personale intitolata “Dragtime and Drugtime: Milan ’20”, presso lo Spazio Fontanella a Roma, ne abbiamo scritto in questo articolo e adesso lo intervistiamo per la nostra rubrica “The Underground“.
«Estetica, gusto, e coerenza artistica vengono per prime, poi tutto il resto segue», Francis Delacroix.
Ti ricordi il tuo primo scatto? Come ti sei avvicinato al mondo della fotografia?
«Allora, ho la memoria un po’ confusa, ma penso che il mio primo scatto fosse una Polaroid di un mio amico, Filippo, in camera mia, quando avevo più o meno 18 anni. Mi sono avvicinato alla fotografia abbastanza lentamente, una transizione dal campo musicale che è durata più o meno 2 anni, e ho iniziato effettivamente a scattare intorno ai 20/21 anni».
Quanto il tuo background ha influito sulla tua estetica e sulla tua poetica artistica?
«Venire da un background musicale ha influito pesantemente su entrambe. Per me i booklet degli album, i diversi outfit delle band, le cover, i poster, sono una fonte infinita di ispirazione, un continuo ping-pong visivo e culturale. Inoltre, conoscere e studiare le leggende del Passato non è solo un vezzo o una maniera per attingere da esso, ma ci insegna che queste figure, anche se sono oramai morte, sono garanzia per l’Immortalità».
Attualmente vivi a Milano, come vivi il rapporto con questa città?
«Milano secondo me è un porto, un limbo, un luogo necessario per tutti i ragazz* di provincia che vogliono qualcosa di diverso dal loro paesino. Una città puramente interessante per la gente che si ritrova ad abitarla, e per le diverse situazioni sociali che si possono venire a creare. 100% pura Immagine, bellissimo».
Quanto è importante instaurare un rapporto con un soggetto quando lo scatti?
«Importantissimo, ma non è sul rapporto che ho con il soggetto che costruisco lo scatto. È su quello che immagino di lui, gli stereotipi che ci proietto, la persona che voglio farlo diventare. Io tendo molto a idealizzare le persone che mi circondano, amici e non, per cui è un processo che mi viene abbastanza naturale».
Esistono scatti o serie alle quali sei particolarmente affezionato? Quali?
«Mie nessuna purtroppo, di altri autori una miriade, non saprei quali scegliere!».
Pensi che rispetto al passato si stia assistendo ad uno svilimento della figura del fotografo?
«Sicuramente, più che altro sulla figura del fotografo come Autore o comunicatore, con il suo piccolo mondo di feticismi visivi che vuole portare alla luce. Un fotografo può studiare e essere capace di fare di tutto tecnicamente, still-life, portrait, eccetera, ma se manca la sua impronta, la sua maniera di vedere la realtà, non sarà mai valorizzato totalmente. Dovremmo abituarci a saper fare molte meno cose, ma a farle con un po’ più di pensiero e stupida passione dietro. Estetica, gusto, e coerenza artistica vengono per prime, poi tutto il resto segue».
Come crei e ricerchi l’iconicità dei tuoi scatti?
«Cerco sempre di coniugare due cose: l’idea/stereotipo che ho del soggetto scattato, e un elemento che personalmente trovo iconico, che può essere tratto da un costume di un film, da un fumetto, da un’altra foto iconica. Che io stia scattando una persona famosa o un mio amico/a il procedimento è uguale, a me non interessa per niente catturare la “vera essenza” di una persona, la voglio trasformare con i miei canoni in qualcosa che piace a me».
Arte e tecnica, due concetti inscindibili?
«Entrambi sono fondamentali per la creazione di un’opera, ma la tecnica dovrebbe rimanere secondaria rispetto alla prima. Il messaggio, il motivo per cui un’opera è realizzata, le reference dietro, rimangono per me il primo motivo di interesse per un’immagine».
Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato nella tua poetica artistica?
«Gli artisti che mi hanno influenzato di più sono, probabilmente per la mia precedente passione, musicisti. La musica rimane il mio desiderio interiore e il fuoco per ogni cosa che faccio. Da Patti Smith a Tyler, The Creator, adoro e ricerco in qualsiasi maniera la volontà creativa dietro la creazione di una canzone, o di un album, e tento di mettere la stessa energia nella concezione di una foto o di una mostra».
Quali invece i tuoi riferimenti nel mondo della fotografia?
«Certamente Mick Rock, Andy Warhol, David Bailey, Mark Selinger, Pierre & Gilles».
Tra le tue ultime iconiche opere vi è uno shooting con Mike Tyson. ti va di parlarcene?
«Mike è pazzo, totalmente matto, lo adoro! L’ho scattato per Cavalli SS22 di Fausto Puglisi, con il genio di Tommaso Ottomano al video. Amo Fausto per aver scelto un personaggio così iconico e inter-generazionale come volto della campagna, riconfermando una regola che seguo spesso: non servono set complicati o esuberanti, voglio solo un fondale bianco, dei flash e una persona con un cazzo di attitude davanti alla camera. Mike é una di quelle persone, iconico senza neanche dover fiatare o muovere un muscolo».
Francis Delacroix, nasce a Torino nel 1995. È noto per i suoi ritratti nella scena musicale e della moda. Formatosi da autodidatta, i suoi lavori spaziano dall’Art Direction alla moda passando per copertine e semplici ritratti dei suoi amici milanesi, forse le sue più importanti fonti di ispirazione.
«I hope my work is more interesting and more intelligent than am I», Vincent Gallo
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