Alla domanda di Roberta Valtorta, – storica e critica della fotografia – nell’intervista a Martin Parr che introduce il catalogo della mostra Short & Sweet in programma al Museo Civico Archeologico di Bologna dal 12 settembre al 6 gennaio 2025 la studiosa riprende il pensiero di Sigmund Freud sull’umorismo e su come questo sia «come un sogno ad occhi aperti che ci permette di esprimere impulsi che abitano nel profondo del nostro inconscio» e chiede a Parr se per lui, l’umorismo nella vita è importante e se lo ritiene un modo per soffrire meno. Parr risponde con il suo aplomb, dicendo che se ci mettessimo a pensare al mondo in cui viviamo, fatto di guerre, inquinamento e cambiamento climatico, ci deprimeremmo troppo. Preferisce affrontare tutte queste grandi catastrofi, per le quali ci sentiamo impotenti, con una modalità divertente. Preferisce suscitare divertimento con le sue immagini. La mostra prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE in collaborazione con il Museo Civico Archeologico e Magnum Photos, con il patrocinio del Comune di Bologna, raccoglie oltre 60 fotografie da lui selezionate appositamente per questo progetto diviso in nove sezioni e affiancate al corpus di immagini della serie Common Sense.
Attraverso una cronaca fotografica senza filtri e fuori dalla retorica, il percorso espositivo si apre in bianco e nero con la serie The Non-Conformists, immagini scattate dal 1975 al 1980 che vede il giovane autore all’età di ventitré anni, insieme alla sua futura moglie Susie Mitchell, muoversi dalla metropoli londinese verso le periferie dello Yorkshire. Proseguendo con l’ultimo progetto in bianco e nero sviluppato da Parr, Bad Weather, realizzato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta e pubblicato nel 1982. L’idea era quella di creare un lavoro incentrato su un’ossessione britannica, così Parr si getta sotto le tipiche condizioni meteorologiche inglesi: acquazzoni, pioggerelline, tempeste di neve documentate rigorosamente tra Inghilterra e Irlanda creando foto che sovvertivano le regole tradizionali della fotografia cioè scattare con una buona luce.
Considerato il più celebre fotografo inglese contemporaneo, Martin Parr è nato a Epson (Regno Unito) nel 1952. Studia fotografia al Manchester Polytechnic, dal 1974 insegna fotografia all’Oldham College of Art, poi a Manchester, Dublino e Newport e dal 1994 diventa membro di Magnum Photo diventando «testimone privilegiato della società britannica dell’era Thatcher». Il primo progetto a colori, presente nelle sale dell’Archeologico è The Last Resort (1982-1985), ed è reportage amaramente ironico condotto dal fotografo sulle spiagge di Brighton, nella metà degli anni Ottanta, in un periodo di profondo declino economico in cui versava il nord-ovest dell’Inghilterra. Tra satira e crudeltà – non priva di una certa tenerezza per i suoi connazionali inglesi – ritrae famiglie a basso reddito in vacanza a New Brighton. Vista attraverso il suo obiettivo, quella che avrebbe dovuto apparire come una località di villeggiatura estiva assume l’aria di una zona industriale. In The Last Resort Martin Parr evoca la sua nostalgia per gli anni Sessanta, creando il primo esempio di reportage spietato e lucido sulla fine di un mondo (quello operaio) e dei suoi valori, nonché l’avvento di una nuova concezione consumistica della vita, la decadenza della società del benessere e del consumo.
Con le sue foto di medio formato, contraddistinte dell’uso contrastato e luminoso del colore, Parr ci racconta la storia del gusto e dei comportamenti della classe media inglese, cogliendo gli esseri umani in atteggiamenti ironici e grotteschi. Una vera e propria incursione nella vita vacanziera delle persone fatta di provocazioni e contraddizioni al limite del paradosso dell’orribile. Parr si comporta come un antropologo prestato alla fotografia e con il suo occhio insaziabile e salace ci restituisce un’immagine della quotidianità trasformata in commedia del cibo (Last Resort, New Brighton, Inghilterra, 1985), vestiti improbabili e atteggiamenti a dir poco inconsueti.
Straordinaria l’installazione Common Sense formata da 250 fotografie in formato A3, selezionate tra le 350 esposte nella mostra omonima del 1999, che offrono uno studio ravvicinato del consumo di massa e della cultura dello spreco, in particolare occidentale. Combinando tutti gli elementi che avevano caratterizzato la fotografia di Parr negli anni Settanta e Ottanta, la serie dà seguito all’ossessiva ricerca visiva dell’artista di tutto ciò che è volgare, stonato, assurdo. Gli scatti e le composizioni dinamiche, fatte di accostamenti audaci, di oggetti pesantemente kitsch, vengono riprese da angoli insoliti, con inquadrature ravvicinate e utilizzando prospettive inedite, creando così scatti che catturano l’attenzione e suscitano interesse. Fondamentale diventa l’attenzione al dettaglio, attraverso il quale Parr riesce a cogliere gli elementi distintivi di un luogo o di una situazione, e quindi in ultima analisi della cultura e della società che egli si trova a descrivere. Per la mostra Short & Sweet, Common Sense, si presenta come un accumulo di immagini dai colori vivaci, stampate a basso costo su carta A3 con una macchina Xerox a colori e riadattate nello spazio secondo un ordine originale.
In questo crudele e divertente mondo eccessivamente colorato ognuno di noi un po’ deride i protagonisti delle immagini di Parr e un po’ si immedesima. Davanti a queste immagini grottesche ci sentiamo come in un naufragio con spettatore; crediamo di essere salvi dalla nave che sta affondando perché noi siamo sul molo a guardare ma la realtà è che ognuno di noi è sulla nave e ognuno di noi è simile alla signora che prende il sole sul lettino con indosso gli occhialetti blu. Straordinariamente ironico, come sempre, Parr mette in scena, a metà del percorso della mostra all’Archeologico, anche una spiaggia fittizia con tanto di sdrai e seggioline da mare per farci immergere a pieno nella nostra fiera delle vanità.
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