Categorie: Fotografia

Vittore Fossati, l’anima del paesaggio in Italia: la mostra ad Alessandria

di - 19 Novembre 2024

Fuori dai grandi centri si consolida un importante centro per la fotografia: ad Alessandria, fino al 12 gennaio 2025, alla Biblioteca Comunale, ci sarà in mostra un capitolo di storia della fotografia italiana Effetti personali. Fotografie 1981 – 2018 di Vittore Fossati (segue quella su Gabriele Basilico e altre). Curata da Giovanna Calvenzi, ci permette di vedere gli scatti di uno dei rappresentanti della Nuova scuola del paesaggio italiana che si è consolidata tra gli anni ‘70 e ‘80, attorno alla figura del fotografo Luigi Ghirri. Sono immagini che si trovano nel Manifesto della Nuova scuola di paesaggio: il libro Viaggio in Italia di recente ripubblicato da Quodlibet perché ricorrono i 40 anni dell’ormai leggendaria mostra collettiva del 1984 curata da Luigi Ghirri, Gianni Leone e Enzo Velati.

Vittore Fossati, Delft, 1999

Vittore Fossati, appunto, il fotografo di Alessandria è stato chiamato dallo stesso Ghirri a partecipare al volume. Questa “scuola” ha segnato una svolta, quasi epica nella storia dell’immagine: per questi fotografi il territorio diventa il nuovo campo di indagine tra gli anni ‘70 e ‘80 attraversati da grandi trasformazioni sociali e politiche. La “rivoluzione nell’immagine” sta nel fatto di aver saputo reinventare la visione oggettiva mescolandola con “la rappresentazione del sé”.

Vittore Fossati, Samedan, 1998

«La fotografia, come altre forme artistiche, riflette i cambiamenti politici e culturali della società evitando di ricercare il paesaggio da cartolina, ha modo di documentare il passaggio verso una società post industriale attraverso l’indagine della provincia, rifiutando l’immagine sensazionalistica e donando nuovo interesse a soggetti che normalmente sarebbero considerati banali», spiega Giovanna Calvenzi.

Quindi sono fotografi con una visione dell’atto fotografico, che è anche visione del mondo. Degli intellettuali, insomma. Vittore Fossati infatti spiega così le sue “regole” di rappresentazione del paesaggio: «Quello biografico può essere banale, quello geografico noioso e quello metaforico ambiguo. Solo quando queste tre cose si riescono a mescolare in maniera efficace si può ottenere qualche immagine che racconta quello che Richard Adams chiamava “attaccamento alla vita”. Una teoria dell’atto fotografico, che si sviluppa in progetti molto diversi l’uno e dall’altro. Ma con un filo comune: La realtà richiede osservazione e meditazione. L’atto fotografico viene spesso percepito come il mezzo per immortalare un istante, altrimenti sfuggente, della realtà nella sua velocità», spiega. «Ma solo osservando a lungo si riescono a vedere cose che prima non esistevano, che siano nella mente o nella realtà tangibile. Stare fermi ad osservare, nella società di oggi, non succede più. A volte, catturare un istante può richiedere ore. Perché non c’è una cosa fissa per sempre».

Vittore Fossati, Oviglio, 1981

Il percorso espositivo ci permette di capire il senso del suo pensiero. Inizia con la sezione Viaggio in Italia con due fotografie, Oviglio, 1981 e Santo Stefano Belbo, 1983. Poi altre immagini sono molto diverse, un lavoro sugli interni: Belle arti, che racconta lo studio del pittore e ceramista Bruno Severino (1952 – 2018) con scatti realizzati tra il 1993 e il 1996. Il racconto di un’amicizia con un formato tondo che ricorda l’occhio che guarda. «Immagini dove ogni tanto uno si riposa. Non si scrive sempre con il punto esclamativo e così vale anche per le foto. Descrivere le cose così come sono, solo se stesse».

Vittore Fossati, Il Tanaro a Masio, 2018

Si prosegue con le foto del lungo lavoro sul Tanaro: «Anche scenari apparentemente non interessanti, quando ritorni hanno sempre qualcosa di diverso e quindi di interessante. Tutti cerchiamo sempre punto per orientarci nel deserto!», aggiunge Fossati. Una scelta che vale per soprattutto per il lavoro Lungo il corso del torrente Scrivia, del 1996.

Vittore Fossati, Col du Tourmalet, 2015

Il percorso prosegue con Storie immaginate in luoghi reali, del 2007. A chiudere il percorso troviamo la sezione Dove sono i Pirenei, con opere realizzate nel 2015. Con un titolo che ricorda quello di una canzone degli anni ‘60. «Perché c’è sempre qualcosa che immagini di poter trovare in un luogo, che anticipa la tua immaginazione». Sono un’alternanza stravagante di riproduzioni di cartoline e illustrazioni di libri a scatti dei luoghi più noti della catena montuosa. Su cui aggiunge: «L’ombra e non la luce talvolta permette di vedere meglio. Una dicotomia “luce ombra”, che c’entra molto con la fotografia».

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