Villa Manin Contemporanea questa volta ha deciso di cambiare rotta. I giovani artisti cui la struttura dà spazio sono generalmente proposti presso le Armerie, in una posizione a dire il vero nascosta e che riesce ad intercettare il flusso dei visitatori diretti al corpo principale del centro espositivo con una certa difficoltà (sarebbe auspicabile l’utilizzo dei vani di passaggio obbligato come quello ora occupato dalla biglietteria, evitando così per il pubblico la noia di un’appendice alla mostra e per gli artisti la sensazione di essere isolati). Ma come recita il noto proverbio, non è sempre Maometto ad andare alla montagna.
Con un’operazione inedita, si è scelto di arrivare al pubblico dell’arte contemporanea con un intervento sulla stampa specializzata ed un’azione di mailing postale, ribaltando la dinamica mostra/visitatore. Ma ovviare alle difficoltà che possono nascere dal raggiungere un luogo piuttosto decentrato rispetto le grandi direttive suona forse come una rinuncia, rispetto la forza propositiva che ci si aspetta da un centro pubblico all’avanguardia. Ma questa è stata la scelta: offrire visibilità anziché produrre opere. E pur essendo una modalità che può suscitare qualche dubbio potrebbe essere al contrario una scelta vincente per un artista come Federico Maddalozzo (S.Vito al Tagliamento, 1978).
Maddalozzo infatti ha progettato delle cartoline pieghevoli verticali monocrome, ognuna delle quali divisa in tre parti da due pieghe orizzontali. Ciascuna porzione (le estreme più piccole la centrale più grande) ha impresso in bianco candido il numero del colore Pantone che quel colore caratterizza o a cui allude. Viene attuata così una feroce compressione emozionale, esito estremo del ridurre la complessità alla pura natura percettiva scientifica e misurabile, lontana anni luce da qualsiasi forma di soggettivismo o necessità lirica. Al contrario c’è una ricerca che ricorda l’analisi genetica di laboratorio e Maddalozzo fa arte mostrando le sequenze di geni che costituiscono il DNA, i cosiddetti mattoni della vita che diventano qui i mattoni con
cui è costruita ogni percezione retinica, i codici attraverso cui la realtà si rivela. Ma si tratta ovviamente di un’operazione progettuale di rigorosa natura concettuale, priva della materialità di cui tante opere necessitano. Ed è per questo che, parlando di una mostra che non c’è, l’operazione Maybe alla fine funziona.
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ma per favore mandate certa gente a lavorare.Se arte significa tutto il primo coglione che passa lo si prende sul serio.
Ma possibile che in regione FVG non ci sia qualcosa di meglio?
Inoltre, se lo spazio virtuale è un pessimo escamotage lo spazio fisico che c'era prima era ugualmente umiliante : gli artisti
locali con un minimo di dignità dovrebbero rifiutarsi ad una simile gogna!
Forse Bonami vuole ridicolizzare le periferie per riservare le mostre importanti ai soliti
delle solite conventicole milanesi....
(Cosa già fatta in altri ambiti, vedi Torino dove non si aiutano i torinesi anzi si boicottano quelli che fanno mercato e danno fastidio.)
Dovrebbe essere più ospitale con chi effettivamente paga le tasse per finanziare il suo (troppo) lauto stipendio!