Si svolge su piani e con linguaggi molto differenti la personale di Elio Caredda (La Spezia, 1953) realizzata a Udine nell’ambito del premio Terzani, autore da cui l’artista sembra mutuare l’amore per l’Oriente unito e la medesima sensibilità filosofica. Ma la presenza di Terzani si dimostra ad una osservazione più attenta più che altro pretesto espositivo, poiché Caredda ha sviluppato una spiccata sensibilità personale non scevra da una profonda consapevolezza del proprio agire.
La mostra è caratterizzata dalla presenza di opere che utilizzano differenti supporti. Si va dalla pittura a tecnica mista, decisamente astratta e minimalista, come Il mercante del sale o Burning of midnight lamp, dipinte sovrapponendo numerosi strati di colore dalle tonalità tenui a mo’ di onda, interessanti più che altro per gli aspetti procedurali e per l’uso di vernici arricchite con cristalli di zucchero (ma che ricadono inevitabilmente in territori già esplorati), a lavori verso cui si avverte una partecipazione personale maggiore, per certi aspetti meno di mestiere. É il caso dei differenti oggetti come i libri-palla, realizzati strappando pagine di libro che di sono state successivamente appallottolate con cura per ottenere delle sfere di cellulosa su cui è ancora possibile riconoscere qualche parola di testo o brandello di copertina. I titoli ci raccontano dell’Oriente e della mitologia alternativa che ancora circonda quel mondo, verso cui l’occidente capitalistico sente ancora forti motivi di seduzione.
Ecco così A guide to the Bodhisattva’s way of life o I molteplici stati dell’essere di André Guénon, allestiti intelligentemente in box di plexiglas montati a parete che moltiplicano le facce diafane e le ombre, dopo aver ferocemente compresso il senso di un libro in una sfera dalle dimensione di una palla da tennis. Che in un epoca in cui anche l’India avverte la voglia di Occidente, forse varrebbe la pena di gettare lontano per privarsi dalla gracchiante mitologia di un mondo alternativo.
Luogo del perdono è invece un occhio nero che contiene nella propria iride la confessione di un peccato mortale che l’artista afferma di aver commesso, avvolta ripetutamente in un bozzolo di sapone e carta da cui evidentemente sente l’esigenza di liberarsi: Caredda ci sfida poiché non sapremo mai il vero contenuto ne se questo corrisponde al vero, a meno di non infrangere l’opera.
Ci sono noti invece i quarantotto aforismi conservati dentro i barattoli di marmellata. Opportunamente allestiti i vasetti di vetro ospitano nel proprio interno una pila con lampadina, che con il semplice click dell’interruttore posto su coperchio rende visibile il titolo di una canzone dei Beatles, un motto di spirito, una frase. Frase che può farci ridere, arrabbiare, o più semplicemente riflettere.
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