Una città, un porto, il mare. E poi l’inquinamento, i manifesti sulle vittime dell’amianto per le strade, gli immigrati sfruttati nei cantieri, che fanno i lavori che gli italiani non vogliono. Tutto questo, ma anche un laboratorio sociale e antropologico fatto di lingue e culture diverse, che anticipa temi e problematiche di una nazione che deve sempre più aprirsi al mondo. Benvenuti a Monfalcone, la città di mare che paradossalmente costruisce crociere, isole galleggianti che solcano le correnti degli oceani.
È qui che uno sguardo di donna può regalare il piacere di un nuovo punto di vista, di una nuova visione che addolcisce la realtà, o al contrario gelare il sangue e risvegliare dal torpore della quotidianità. Ed è per questo che è stato pensata una mostra a tema, solo per parlare di Monfalcone: sei giovani artiste (la loro età è sotto i trent’anni) sono state infatti invitate a produrre lavori strettamente legati al contesto urbano, dopo un’opera di documentazione che le ha portate a percorre strade, luoghi e piazze della centro e della periferia. C’è chi come Laurina Paperina (Rovereto, 1980) ha fotografato scorci della città sopra i quali ha disegnato -con l’ironia che la contraddistingue- i personaggi celebri nati qui (dalla cantante Elisa al comico Paolo Rossi, da Gino Paoli al conservatore della galleria comunale Andrea Bruciati, tutti in smagliante tutina da supereroe dei cartoon). O chi invece come Marya Kazoun (Libano, 1976) ha preferito costruire un mostruoso polmone informe in stoffa che mostra orribilmente le viscere e le cavità rese malate dall’amianto, inabili a ricevere il pneuma vitale dell’aria che deve essere forzosamente indotto da un boccaglio (come visto nella performance la sera della vernice). Anche Eva Geatti (S. Daniele del Friuli, 1981) è ricorsa ad una performance, incentrata però sulla vita del porto e sulle dinamiche del lavoro che si ripetono ossessivamente: vestita di bianco con l’elmetto sullo sfondo di una parete attrezzata con materiale tecnico-industriale ha riproposto il lacerante urlo della sirena, che è a metà strada tra la fine della giornata lavorativa o l’allarme sicurezza che testimonia il pericolo.
Le tre fotografie di Claudia Bortolato (Udine, 1978) parlano della contesto urbano, delle persone, delle suggestioni visive di una città costruita attorno alle navi, ai cantieri, ma, quasi troppo analitiche, si perdono nei grigi e non trasmettono il pathos che forse ci si aspetterebbe. Anche Debora Vrizzi (Cividale del Friuli, 1975) ricorre alla fotografia immortalando tre donne di Monfalcone di diversa età ma vestite uguali, ognuna delle quali indossa una t-shirt con un rebus con una I, un cuore, un monte, ed un falcone (I love Monfalcone): a metà strada tra enigmistica pop da maglietta e riflessione sulla condizione della donna moderna. Il pavimento invece è abitato e colorato dagli abitini in spugna da cucina di Anna Pontel (Gorizia, 1974) che fanno del parquet della galleria una piazza. Ma in drammatico contrasto con la vivacità cromatica dei vestiti (alti 20-30 cm) sono le persone in carne ed ossa, di questa come di ogni altra città, a mancare.
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soprattutto Viva queste donne!