Il Carso triestino, regione avara di terra ed erba, pietrosa, abbacinante d’estate, rossa in autunno, sembra penetrato nelle opere di
Luigi Spacal (Trieste, 1907-2000) con la forza di un mito. Le immagini di quella terra arcaica ritornano all’infinito, depurate da ogni riferimento realistico, assurte a simboli dell’esistenza stessa. Né cielo né mare compaiono nelle opere esposte, solo oggetti che rimandano a un mondo lontano, che l’artista ha il compito di ricomporre secondo un nuovo ordine spaziale. Così in
Paesaggio o in
La piazza del riposo, lavori risalenti agli anni ’40, il paesaggio è disposto secondo una linea circolare in uno spazio irreale, magico, molto vicino al surrealismo.
La mostra, nel centenario della nascita, costituisce un significativo tracciato dell’opera dell’artista, che si snoda attraverso esperienze pittoriche e tecniche compositive di diverso tipo: dalle matrici xilografiche alle tempere su carta, dall’olio su tavola al mosaico, dall’arazzo al collage, dalle sculture in legno alle tecniche miste su carta e tavola. Si trovano dunque uno di fronte all’altro l’olio su tela
La sedia nel giardino (1943) e la tecnica mista
Senza titolo (1995), a testimonianza della ricerca tecnico-espressiva che portò l’artista a trasformare progressivamente la materia da oggetto simbolico, ma pur sempre riconoscibile, a pura astrazione.
Nel percorso tra le opere, talune inedite come i
Bozzetti per decorazioni navali o i pastelli preparatori agli oli su tela
Massaia Carsica (mia madre), si evidenziano gli elementi che nutrono il lavoro di Spacal: il sentimento, la realtà , la tecnica. Il sentimento d’amore per la sua terra, aspra, sferzata dalla bora e tormentata dalla siccità . Amore che si evolve nel tempo e nel ricordo, nella nostalgia che diventa sublimazione del paesaggio e della casa carsolina. In questo modo, sentimento e interpretazione della realtà si fondono. Dal sentimento trae ispirazione, dalla realtà trae il senso della composizione ordinata secondo schema razionale. Infine, la tecnica esprime il bisogno di approfondire la conoscenza del reale e di manipolarlo per elaborare nuove strutture concettuali, in cui sono mantenute, in un’accentuata stilizzazione, l’orditura verticale e quella orizzontale, come nelle due xilografie
Luna park e
CittĂ allo specchio, entrambe del 1954. Ugualmente in
Luci nella città (1959) l’assetto verticale è dato dallo strato materico, che rappresenta i luoghi e le strade, come su una mappa piatta che scoppia per lo spessore di ciò che vi è rappresentato.