È un progetto interessante quello presentato da
Andrea Contin (Padova, 1971) per la galleria triestina, antiromantico al punto giusto per opporsi tanto ai buonismi di facciata, ai catodici patemi d’animo, alle troppe rime cuore/amore che ancora ammorbano le orecchie.
Il punto di partenza, il
casus belli potremmo dire, data l’intima rabbiosità artistica del
buon Andrea (che è pure il titolo di uno dei suoi video più indovinati), è una canzone di Piero Ciampi,
Adius, dalla quale prende a prestito un paio di versi. Ma nel complesso l’effetto, dopo una partenza assolutamente fulminante, è quello di una certa indeterminatezza o, al contrario, un eccesso di didascalicità. Andiamo con ordine.
Lo spettatore è accolto in galleria da un video che mostra un micio nero che fa pranzo con un cuore vero. Ed è indifferente che sia maiale o uomo, tanto si assomigliano in molte cose, e ad ascoltare gli esperti di xenotrapianti capiterà prima o poi che un organo del simpatico animale rosa finirà a battere nel petto di un nostro simile. “
Un cuore giace inerte rossastro sulla strada e un gatto se lo mangia tra gente indifferente”, recita la canzone di Ciampi, e Contin non perde l’occasione per rappresentarlo fedelmente.
Segue una sezione in cui le pareti sono occupate da disegni che raffigurano, con uno stile a cavallo tra
naïf e
folk, uomini e animali, dei quali sono messe in evidenza le relazioni fisiche – e psicologiche – tra cuore e libido, tra mente e genitali. Una sorta di bestiario visivo, in cui c’è posto pure per un pappagallo impagliato guascone e guardone tenuto sotto sorveglianza da un severo sguardo femminile.
La mostra prosegue con tre sculture che rappresentano il cuore in tre stati differenti: di vetro, di sasso, reale (viene sempre in aiuto il maiale e l’organo è stato trattato chimicamente affinché non si degradi); poi, nel cortile, uno spaventapasseri, quasi a farsi beffe di questa commedia.
Peccato però che la ciambella non riesca perfettamente col buco e che l’evoluzione cardiaca dia troppo l’impressione di essere da cartone animato
super sayan, o in qualche modo didascalica. Si perde tra queste pieghe, infatti, annacquandola, la forza evocativa e dirompente della farsa, la cattiveria del sangue, lo splatter emotivo così piacevolmente esibito. Peccato.