24 luglio 2008

fino al 18.VIII.2008 Claudio Ambrosini Trieste, Studio Tommaseo

 
Una figura anomala nell’Italia degli anni ‘70, in cui fioriscono le sperimentazioni senza che il sistema le metabolizzi. È questo il destino di Ambrosini, approdato alla musica contemporanea, settore in cui ha vinto il Leone d’Oro...

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È un lavoro di grande interesse quello proposto negli anni ‘70 da Claudio Ambrosini (Venezia, 1948), più volte esposto alla Galleria del Cavallino e ora, a quasi quarant’anni di distanza, proposto in chiave retrospettiva da Trieste Contemporanea. Una ricerca che si dimostra molto simile a quella condotta nello stesso periodo negli Stati Uniti e che ha avuto gli esiti più noti, probabilmente grazie a una copiosa letteratura di livello a riguardo, nelle esperienze del Black Mountain College.
In quegli anni, di cui quasi tutto conosciamo delle vicende americane, Ambrosini -grazie ai nuovi metodi di registrazione elettronica disponibili sul mercato e con un approccio trasversale che gli deriva dalla formazione musicale e artistica- sperimenta le interazioni fra video e suono ma anche le dissociazioni tra i due medium, come capita in Solo/tutti per circuito audio e video con direttore d’ascolto, di cui in mostra è presente copia dello spartito, caratterizzato dalla sovrapposizione di pentagramma e traccia video.
Nel caso di Light Solfeggio l’autore trova invece stimoli creativi anche nel ricercare i limiti tecnici degli strumenti a disposizione: l’accensione e lo spegnimento della luce a una frequenza via via crescente (due, tre, quattro, cinque volte nell’unità di tempo) comporta una mancata registrazione del fenomeno da parte della videocamera che -passando dalla luce al buio- ha un tempo minimo di scarto necessario per adattare il diaframma alle variate condizioni di ripresa. L’effetto è così quello di una luce che diventa progressivamente più debole.
Claudio Ambrosini - Light solfeggio - fotogramma da video b/n
A questi lavori si sommano esperienze di tipo performativo, presenti in mostra con fotografie di carattere documentativo, quali Flauto dolce soprano o La gravità affonda, il suono risolleva. Nel primo caso è stata collocata della polvere di ferro su un piano a cui Ambrosini ha indirizzato l’aria che esce da un flauto da egli stesso suonato, operazione da cui scaturiscono disegni con andamenti sinuosi, poiché la polvere si organizza e si accumula in determinate zone in base alla natura e all’intensità delle vibrazioni dell’aria. Nell’altra performance, in un vaso con dell’acqua è stato aggiunto dell’inchiostro che, anziché diffondersi per gravità, continua a rimanere in sospensione grazie al suono di un violino. Entrambe testimoniano un approccio trasversale tra musica e arti visive, e un interesse per un linguaggio che ama inseguire l’effetto, ma basandosi su un sostrato di natura riflessiva.
Claudio Ambrosini - La camera di Chopin e George Sanda a Maiorca - 1975 - collage, foto b/n
Curiosamente, come ci ha raccontato l’autore, queste esperienze erano mal digerite dall’ambiente musicale italiano a cavallo tra anni ‘60 e ‘70, mentre erano recepite con interesse dalla nuova generazione di artisti e critici. Solo dopo le prime grandi commissioni pubbliche Ambrosini lascerà progressivamente questo campo di ricerca per dedicarsi quasi esclusivamente alla musica. Un Leone d’oro alla carriera assegnato dalla Biennale Musica ne testimonia l’assoluto valore.

daniele capra
mostra visitata il 16 maggio 2008


dal 16 maggio al 18 agosto 2008
Claudio Ambrosini – Attimi relativi
a cura di Giuliana Carbi
Studio Tommaseo
Via del Monte, 2/1 – 34121 Trieste
Orario: da lunedì a sabato ore 17-20
Ingresso libero
Info: tel. +39 040639187; fax +39 040367601; tscont@tin.it; www.triestecontemporanea.it

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