Accompagnata dalle note
malinconiche delle musiche patriottiche trasmesse alla radio nella Russia degli
anni ‘30 e ‘40, la mostra allestita nella Chiesa di San Lorenzo raggruppa in
un’unica sala un centinaio di scatti realizzati dai fotografi più significativi
di quegli anni. Da
Grindberg a Rodchenko, da Ignatovich a
Ustinov dove, dalle edulcorate immagini
di ritratti femminili e dai leggiadri movimenti di danza, resi ancor più
evanescenti dall’effetto
flou del Pittorialismo, veniamo catapultati nel mondo del
lavoro e nel fotoreportage di guerra.
Spiccano, senza ombra di dubbio,
le prospettive ardite di
Alexander Rodchenko con le sue linee, le vedute dal
basso o dall’alto e le forme geometriche ereditate dal Costruttivismo.
L’artista, in possesso di una camera Leica, comincia a fotografare singoli
elementi architettonici: scale, balconi, muri, “
mostrando gli oggetti
quotidiani e familiari da prospettive e angolazioni differenti, per offrire una
rappresentazione completa dell’oggetto”. I giochi di ombre e di luci destabilizzano
continuamente lo spettatore, che si ritrova davanti a immagini ordinarie ma dal
taglio inconsueto (
Uscita antincendio, 1925;
Scale, 1929;
Linea del tram, 1932;
Sportivi della Dynamo
sulla Piazza Rossa,
1935), mentre in
Ingranaggi (1929) appare molto forte l’influsso del fotodinamismo
cubo-futurista.
Peculiarità, questa, presente
anche nell’altro membro di Oktiabr,
Boris Ignatovic, come pure le inquadrature ardite
(
Carpentieri,
1928;
L’operaio con un’asse, 1929;
Scale di un edificio per studenti, 1933) e le prospettive aeree (
La
cattedrale di Sant’Isacco a Leningrado, 1931). Alla fine degli anni ‘20 la posizione di
Rodchenko e dei membri del gruppo si fa sempre più difficile, tanto da essere
accusati di eccessivo formalismo, aspetto che, con l’avvento dello stalinismo e
di un’estetica di Stato, diviene perseguibile.
Non solo, ma furono proprio
fotografi come
Max Vladimirovic Alpert e
Arkady Shaikhet ad accusare Rodchenko di seguire
le orme dei fotografi occidentali, da cui tale procedura derivava, e di dare
troppa importanza all’estetica a scapito del contenuto. In quest’ultimo
fotografo l’attenzione è catalizzata soprattutto sugli esercizi ginnici, sulla
potenza dello sport – messa in evidenza anche nel
Giovane comunista alla
ruota di una macchina (1929) – sui chiaroscuri, le linee, le sfumature (
Esercizi mattutini, 1927;
Soldati dell’armata
rossa sciano,
1928;
Caffetteria,
1930).
Nonostante non abbia
grosse pretese a livello allestitivo e segua il classico iter temporale, che
abbraccia i tre principali indirizzi della fotografia sovietica dei primi anni ‘40
del secolo scorso (Pittorialismo, Gruppo Oktiabr, fotografia di propaganda), la
mostra riesce comunque a tracciare un percorso esaustivo sui profondi
cambiamenti e le contraddizioni che hanno interessato la Russia di quegli anni.
E fa riflettere con amarezza sul fatto che in realtà tutto questo non sia, come
potrebbe sembrare, così distante.