Usiamo con una certa frequenza la dicotomia tra pittura aniconica (astratta) e figurativa, basata −per dirla rozzamente− sulla corrispondenza tra soggetto pittorico e realtà. Ma si tratta di una divisione sorpassata. Infatti, come si legge nel saggio introduttivo, anche a quella che convenzionalmente definiamo come figurativa “non è più demandata una funzione di mimesi del reale […] e risponde a dei parametri puramente estetici. In tal prospettiva la pittura riflette sul suo mettere in evidenza il dispositivo, il meccanismo della rappresentazione, della finzione dell’arte”. La creatività sembra più basata sulla presenza di un sistema di morfemi individuali, essendosi attuato uno spostamento dal meccanismo di imitazione/rappresentazione a pura ricerca linguistica.
La mostra parte dall’assunto che “assumere una serie di coordinate prestabilite offra all’artista maggiore libertà di espressione” e passa in rassegna vari esempi di pittura iconica in cui il genere è presente, talvolta evidente, talvolta mascherato, molto spesso in coabitazione.
Veniamo accolti da un fantasioso paesaggio manga di Chiho Aoshima cui è contrapposta una natura morta di Alisa Margolis, decisamente opulente. Molto belli i due ritratti femminili di Elke Krystufek, come quello a quattro mani di Muntean & Rosenblum, in cui la mancata interazione dei soggetti sembra prendersi gioco dell’osservatore, costretto a leggere la frase scritta alla base.
La Pianura padana di Verne Dawson, carica di citazioni tra paesaggi rinascimentali e le visioni dall’alto di Escher, fa pendant con L’ermafrodita con cosce carnose ma testa maschile di Marta dell’Angelo.
Qui comincia a sorgere il dubbio che forse sarebbe stato meglio suddividere le opere per stanze in base alle categorizzazioni di genere, come il titolo della mostra (che pure è una esposizione a tesi, merce rara oramai) suggerisce. Non si sarebbe peccato di pedanteria tassonomica né di manicheismo, visto che spesso tanti lavori sono transgender. Ed in più in questo modo si sarebbero apprezzate le differenti declinazioni individuali della stessa categoria compositiva.
Nel successivo spazio espositivo (essenziale ed efficace grazie la parcellizzazione attuata con dei nastri bianchi su cui sono collocati i quadri che sono fissati sul soffitto), l’attenzione va subito ai lavori di Fulvio Di Piazza, dominati da uno spiccato vitalismo cromatico vegetale, e alle tele di Andrea Mastrovito, tra cui il raffinato Non ti dire che ti amo a forte tinte hippy e dall’aura quasi magica.
Non poteva mancare la Cina, di cui si fa nota il pur facile China portrait n.66 di Feng Zhengjie. Una lancia va spezzata per Chantal Joffe, capace di caricare di erotismo la non tanto raccomandabile donna in costume rappresentata.
Anche Japan Flag di Maurizio Cannavacciuolo ritrae una situazione erotica con un uomo a carponi (forse una porzione di xilografia erotica giapponese) da cui emerge il vessillo del sol levante, nascosto da più livelli di immagine che costruiscono una solita di ipertesto. Tanto per ricordarci come oggi, con parole −e codici− antichi, si possano ancora scrivere versi moderni.
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mi chiedo se il milanese poi questa mostra l' ha vista. Pare proprio di no, invece per Otello ti voglio ricordare che Malerba non è stato messo perchè la galleria ha comprato delle sue opere poco tempo fa ed è stato scelto di non riproporle.
Bè, la realtà è che chi ha partecipato alla mostra di Bonami (sulla pittura) a Villa Manin non ha voluto partecipare a questa.
Tenendo presente che il più delle volte sono i galleristi che gestiscono i loro artisti.
A parte Pessoli che ormai è il maestro...e decide lui per se!
Una copertina di Exibart del Pessoli sarebbe il top ma è un'impresa difficile se non impossibile.
Che salto per exibart sarebbe...
Caro Salvatore Baldi, dici: "il coraggio di osare a sfatare questo tabù". Ma quale tabù?
Cambiare genere lo trovi così coraggioso? Forse è vero il contrario! E' mantenerlo uno stile o un genere che oggi può essere ardimentoso.
"Vedere in Philophobia solo dei boschi,un grosso limite.Da parte tua..."
Prova a chiedere in giro, tranne all'autore ovviamente, quale immagine ricordi Presicce...poi valuta tu.
quando c'è da parlar male della pittura, escono fuori come funghi una miriade DI CREATIVI DEL CONTEMPORANEO
non tocchiamo il tema del rinnovamento della ricerca dei giovani, per cortesia... il mercato lo nega, questo è sempre più evidente a tutti, allo stesso tempo però è anche un ottimo alibi per moltissimi dei vostri qui "citati" pittori.
Caro Otello,vorresti che ti suggerissero dei nuovi generi e poi apostrofi il lavoro di Presicce con "Erano meglio i suoi boschi..."
Uno dei limiti dei nostri giovani artisti,è proprio la mancanza di rinnovamento.
Non riconoscere a Presicce il coraggio di osare a sfatare questo tabù,lo trovo forviante.
Vedere in Philophobia solo dei boschi,un grosso limite.Da parte tua...
Non faccio sondaggi e tantomeno cerco consensi.
Dico la mia.
La complessità di alcuni lavori,richiede a volte tempo per poter poi,essere interpretata e metabolizzata.
ma sono "orsi" quelli che trasportano il baldacchino nell'opera di presicce?
caro salvatore, tu dici: "La complessità di alcuni lavori,richiede a volte tempo per poter poi,essere interpretata e metabolizzata", non capisco bene cosa intendi per interpretata e metabolizzata, potresti spiegarmi?
ti amo salvatore