Categorie: friuli v. g.

fino al 24.IX.2006 | Andy Warhol’s Timeboxes | Trieste, Ex Pescheria Centrale

di - 28 Luglio 2006

Il Maxxi, il Macro, il Mart, il Madre, il Pan, il Pac. È una moda ma è anche un’esigenza di comunicazione cercare per un museo un nome corto e che resti in mente al grande pubblico. Non qui a Trieste, dove si è scelto il nome imbarazzante Centro Espositivo d’Arte Moderna e Contemporanea Ex Pescheria Centrale. Anche Pescheria non sarebbe male, Ex forse metterebbe d’accordo tutti per la sintesi (anche perché ‘pescheria’ è già in uso presso il Centro d’Arte Visiva di Pesaro). Fa ancora più impressione la scelta fatta se si pensa che in città c’è una Facoltà di comunicazione che avrebbe potuto essere un laboratorio quasi a costo zero. Ma si sa che le istituzioni hanno la capacità di ignorarsi apertamente. Strano poi che non sia stata pensata un’attività espositiva a lungo termine e che non sia stato coinvolto il cittadino Museo Revoltella che ha dato l’impressione di tirarsi fuori dalla vicenda rigando dritto per la propria strada. Anche la scelta della data non risulta particolarmente felice, considerato che il flusso dei visitatori interessati agli eventi culturali, tolti i picchi dei festival, è generalmente in decremento.
Ma senza fissarsi sui dettagli (il Centro Espositivo d’Arte ecc ecc è privo anche di un logo) veniamo al contenitore, costruzione molto interessante adibita a pescheria costruita all’inizio del Novecento sul molo della città giuliana. L’edificio presenta una grande unica volumetria a dire il vero molto suggestiva che sembra però inadatta ad accogliere un’attività espositiva poiché è necessario parcellizzare gli spazi, anche verticalmente, per aumentarne la capienza. L’impressione è che sia stato effettuato un restauro conservativo non preoccupandosi delle finalità dello spazio.

In mostra, invece, ci sono gli aspetti meno conosciuti di Andy Warhol, una ricerca sulle fonti, le time capsules, scatole in cui l’artista depositava e raccoglieva i propri oggetti personali, foto, riviste e chincaglieria di vario genere. Le scatole che egli teneva costantemente nel proprio studio via via riempiendole (“Quello che devi fare è tenere una scatola per un mese, ficcarci dentro di tutto e alla fine del mese chiuderla per bene”), quando erano piene venivano impacchettate, numerate, e messe in magazzino. Warhol stesso aveva pensato di venderle, ma malauguratamente la morte gli sopraggiunse e per anni le time boxes vennero conservate presso la fondazione che porta il suo nome. Ecco quindi, nei pur suggestivi box allestiti nello spazio della mostra, scarpe di donna, vestiti, stampe e ritagli di giornale. Sono, oltre che fonti iconografiche, più che altro feticci da personale Wunderkammer. Tanto più che non viene, salvo pochi casi, esplicitamente mostrata la relazione tra fonte ed opera, essendo queste ultime veramente poche, anche se di valore (tra tutte Liza Minnelli, Mao e il Beuys su telo verde).
Annacquati dietro spesse vetrine, mortificati da mille riflessi, lavori e oggetti sembrano avere lo stesso valore artistico. E se a questo si aggiunge la mancanza di cartellini identificativi che, per una mostra che nelle intenzioni del curatore deve avere una finalità anche didattica, il pasticcio è fatto.
Interessante è invece la sezione dedicata ai video, mentre non propriamente elegante è la sala in domopak che riproduce la factory con Warhol steso sul divano. L’asfissiante copertura delle pareti con i simboli della mostra è poi oggetto di un concorso. Chi indovina qual è l’immagine più ricorrente vince un viaggio a New York. Detto ciò, tacciamo sui costi astronomici della mostra…

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daniele capra
mostra visitata il 21 luglio 2006


Andy Warhol’s Timeboxes
a cura di Gianni Salvaterra
catalogo con testi di G.Salvaterra, R.Rosenblum, T. Sokolowski, J.W.Smith, M.Wrbican, G.Huxley € 45; in edizione limitata e numerata € 390
Trieste, Centro Espositivo d’Arte Moderna e Contemporanea Ex Pescheria Centrale
tutti i giorni; fino al 24.IX 10-23, dal 25.IX 9-19
ingresso € 10, ridotto € 7, gruppi € 2
www.andywarholtimeboxes.com
andywarholtimeboxes@hotmail.com


[exibart]

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  • ahaha, questa fa il paio con quell'altro sindaco, non so di che capoluogo di provincia... Convinto di spendersi nei progetti sull'arte contemporanea, di fronte a coloro che gli proponevano un paio di progetti, ha messo una sola condizione: che ci fosse Klimt.

  • Mi sembra che Basquiat al Revoltella fosse costata 600 mln delle vecchie lire o giù di lì... e questa? forse il sindaco di Piazza e amici pensano che tutti siano ignoranti come loro... del resto... lui voleva telefonarci a Warhol

  • Ieri sera, dopo aver visto la mostra "Timeboxes" sono rientrata un pò sconvoltina rimpiangendo alla grande i miei 10 euro. Non potevo o non volevo rendermi conto di aver visto ciò che, purtroppo, stando alle stime, già 6000 visitatori hanno visto. Ovvero quasi nulla. Girovagando nel sito della mostra creato "ad hoc" (.. ove non esiste ombra di recensione) per fortuna sono approdata qui. Non solo condivido in pieno la sin troppo gentile critica di Daniele Capra ed i 2 commenti che seguono ma aggiungo, tanto per la cronaca...che la fotocopia dell'evento distribuita ai visitatori non riporta affatto il nome del curatore. Trattasi di un testo descrittivo leggibile ovunque; la brochuretta, che all'apparenza promette bene, contiene soltanto: "ORARI E TARIFFE MUSEI E BIBLIOTECHE - ESTATE 2006"; l'acensore non funziona perchè non è mai entrato in funzione; la sala Convegni del "Salone degli Incanti" (perchè poi alla filastrocca del nome non aggiungono anche questo?), pur richiesta sembra crei ai richiedenti iter burocratici quasi ingestibili. Terrazza con vista splendida, 1 acqua minerale con giaccio (tanto!) 1.50 euro! Certo tutti devono vivere, ma non con i nostri 10 euro ed i soldi pubblici. Dimenticavo! Bellissime, per me, le sedie fucsia di Moroso. Almeno quelle.

  • Così ho scritto sul mio blog a scatola chiusa (è il caso di dirlo) sulla mostra "Andy Warhol's Timeboxes", ma pare che mi sia sbagliata e che si tratti del classico caso di chi predica bene (gli organizzatori con i loro comunicati stampa) e razzola male! Non vale la pena che ci vada davvero, a quanto pare!

    Trieste si prepara a vivere l’evento culturale dell’anno: il 21 luglio prossimo aprirà “Andy Warhol’s Timeboxes”, la mostra a cura di Gianni Salvaterra che si riallaccia idealmente ed in modo diretto ad uno dei filoni più enigmatici della produzione di Warhol, le time capsules, alcune della quali, provenienti dal Museo Andy Warhol di Pittsburgh e dalla fondazione Andy Warhol di New York, vengono presentate ed analizzate, individuandovi il nucleo originario di quella poetica dell’accumulo e del ready-made che costituisce l’asse portante dell’attività di Andy Warhol e di tutta la Pop Art americana.
    Due le sedi scelte: il Museo di Arte Moderna e Contemporanea Pasquale Revoltella e la Pescheria Nuova, in Riva Nazario Sauro 1, edificata nel 1913, opera dell'architetto Giorgio Polli che nel progetto si trovò a dover rispettare da una parte gli importanti i requisiti dettati dalla destinazione e dell’uso della costruzione come le caratteristiche igieniche, la funzionalità dell'aula di vendita, una specializzazione delle strutture e dall'altra l'esigenza di coniugarle la prospettiva neoclassica delle rive.
    Il risultato fu un edificio in stile liberty con sette vetrate sulla facciata ed una torre slanciata, a forma di campanile, che è valsa all'edificio il soprannome popolare di "S. Maria del guato" (il pesce più pescato nel golfo di Trieste). La torre, caratteristica dell’edificio, serve a nascondere i meccanismi di sollevamento dell’acqua necessario al cambio delle vasche del Civico Acquario Marino uno dei musei più amati e frequentati.
    La Pescheria dopo i lavori di ristrutturazione e riconversione tutt’ora in corso, diventerà Centro espositivo d'Arte Moderna, sede di mostre, manifestazioni culturali e sarà inaugurata in occasione di questo evento, ma “Andy Warhol’s Timeboxes” e' già in anteprima a Trieste nella sala da ballo del Museo Revoltella in attesa dell'inaugurazione della mostra completa.
    Andy Warhol comincia a raccogliere fin da bambino, con ossessiva metodicità, in piccole scatole di cartone marrone tutte uguali che alla fine della sua vita supereranno le seicento unità, gli oggetti più disparati che gli passano per le mani (foto, ritagli, cartoline, articoli di giornale, racconti sulla sua infanzia a Pittsburgh, manifesti, pezzi di pellicola, fatture), legati a momenti della sua esistenza in apparenza non necessariamente di particolare significato: egli chiama queste scatole Time capsule, a significare la volontà di custodire e preservare, intrappolandoli diligentemente entro le pareti di cartone, non tanto gli oggetti quanto il tempo stesso della loro esistenza, la durata di un effimero arco temporale, un attimo irripetibile bloccato e congelato in un insignificante frammento di materia. Piccolo museo antropologico metodicamente organizzato e mensilmente completato, catalogato ed archiviato (sul significato antropologico del materiale si sono espressi anche Jim Richardson, curatore del Museo Carnagie di storia naturale e John W. Smith, responsabile del Museo Andy Warhol di Pittsburgh ), la time capsule è il personale tentativo di bloccare la memoria per l'eternità, di fare ordine nello scorrere caotico del tempo della propria vita, di imbrigliare in una cronologia documentata un minuzioso racconto autobiografico fermandone e concretizzandone le emozioni: in seguito, Warhol attingerà a questi cassetti della memoria per trovare spunti ed ispirazioni per la sua arte, che, fedele a questa ossessione giovanile, resterà sempre legata ad una più o meno radicale feticizzazione dell'oggetto comune.
    Probabilmente Warhol non si propone alcun fine con quella sua ordinata raccolta di scatole monotonamente uguali dove nulla fa sospettare le differenze del contenuto e dove ogni scatola è un pozzo delle meraviglie dal quale può uscire qualunque cosa: c’è un fondo marcatamente infantile in questo grande gioco dei pacchi (non dimentichiamo che le time capsules sono più di seicento), ed anche l’ambiguità di un adulto-bambino che in qualche modo prepara una sorpresa post mortem con una sorta di autocelebrazione ironica e, come spesso accade quando si parla di lui, istrionica e dissacrante.
    Tema cruciale della mostra, lo spazio interno, lo spazio cavo inteso nella sua valenza architettonica di contenitore con precise caratteristiche morfologiche seppure in assemblamento apparentemente casuale, ma soprattutto metafora dell’interiorità, ricettacolo dei più personali segreti psicologici, uno spazio monocromatico ludico e privo di funzioni specifiche, dove entrare e dal quale uscire secondo una successione logica e tuttavia senza uno scopo, interiorizzando il concetto della scatola per porsi in sintonia ed in empatia con le modalità creative di Andy .
    La mostra rimanda proprio all’aspetto infantile e giocoso della sorpresa e della scoperta, attraverso le sue strane macro-scatole transitabili, stargate attraverso i quali penetrare nello spazio-tempo della memoria, attivando il ricordo di una personalità ambigua e per certi versi incomprensibile, in parte ancora da scoprire, come il contenuto delle sue time capsules.

    Sarà l’occasione per intraprendere un viaggio affascinante alla scoperta delle fonti ispirative di un artista tra i più discussi del secolo scorso, per tentare di capire, attraverso per esempio le scarpe che ispirarono "Diamond dust shoes" o le vecchie foto di Marylin Monroe alla base delle più celebri elaborazioni grafiche e serigrafiche, i processi creativi che lo portarono alla definizione del suo linguaggio espressivo.
    Perché nelle scatole di Andy si trova ciò che lui ha voluto tramandarci, forse inconsciamente, come la più significativa traccia di sé, accuratamente sigillata e datata in ordinati, anonimi contenitori di cartone usciti dal buio del ripostiglio del suo studio per finire al museo di Pittsburgh ed ora alla ex Pescheria di Trieste per mettere in scena, postuma, la più strabiliante decontestualizzazione di tutta una straordinaria carriera artistica.
    E' questa la vera Pop Art

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