Finalmente il parco, luogo dogale di contemplazione della natura in cui sino ad un paio di anni fa i cartelli vietato pestare l’erba scoraggiavano qualsiasi avventura, è divenuto luogo di stupore e di artistica quanto giocosa delizia. “Nessuna inaugurazione ufficiale per le opere di Althamer e Beutler” dice la curatrice Sarah Cosulich Canarutto, “perché lo spettatore va colto di sorpresa”. Ed è sorpresa, questa volta, per le due realizzazioni pienamente riuscite, che sanno di luoghi nuovi, di nuovi emozionanti incontri.
Pawel Althamer (Varsavia, 1967) è li, con sua figlia. Ci accoglie mentre la bambina è intenta a costruire un pupazzo con gli avanzi del ristorante, cucendo le chele di un crostaceo e una codina non ben identificata al corpo di pezza. L’artista polacco, che ormai occupa un posto nell’Olimpo dell’arte internazionale, per alcuni giorni vive con Veronica nel parco, all’interno della sua opera. Da un deposito dismesso di attrezzi agricoli ha tratto The House, un’installazione che l’artista ci invita a raggiungere prendendo un sentiero nuovo, che conduce fuori dai percorsi battuti. Si lascia dunque la cosiddetta Via delle mimose per entrare in una dimensione parallela e non ufficiale. E così, quando tra qualche giorno Pawel e Veronica lasceranno la loro dimora, con l’impronta di un vissuto recente dei fiori sulla porta e i disegni infantili alle pareti, saranno i visitatori ad abitare questo luogo. Ciascuno condurrà un po’ più in là la storia di questa casa dei racconti che pare vicina, anzi vicinissima, alla casa delle fiabe.
Michael Beutler (Oldenburg, 1976) ha invece realizzato Manin-City, un labirinto giallo di 40×40 metri in pecofil, uno dei tanti materiali che l’artista sperimenta e rilegge mettendo in rilievo gli aspetti non tradizionali al di fuori dalla dimensione puramente funzionale. Il labirinto si ispira alla tradizione dei giardini barocchi animati da trucchi e giochi scenografici, riprendendo il progetto della Villa con corte d’onore su cui si aprono spazi da esplorare ed in cui potersi perdere avventurosamente. La pianta comprende alberi e piccoli accadimenti geologici, mentre la forma favorisce l’incanalarsi del vento che percorre le labirintiche gallerie. Gli elementi naturali come la pioggia renderanno sonora l’architettura ed il lento lavorio del tempo decreterà invece l’arrugginirsi delle strutture metalliche e la progressiva trasparenza che renderà diafano il labirinto.
I nuovi lavori, realizzati con la partnership di Trieste Contemporanea e della Biennale di Berlino, si aggiungono alle sei Sculture nel parco divenute permanenti.
Quali sono? Lo Scivolo d’erba di Paola Pivi, la coloratissima Panchina di gruppo di Patrick Tuttofuoco, la Casa del tè di Rirkrit Tiravanija, la gabbia di Alberto Garutti, il sentiero defilato di Andreas Slominski e il gioco del Go, versione gigante, di Gabriel Orozco.
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