Quando si esce dalla Sala 10 di Villa Manin si hanno le scarpe impalpabilmente impolverate. Rese leggermente opache dal lavorìo della sabbia sulle suole e sulle tomaie: tra le calze, tra i piedi, gli agguerriti granelli sottili. Così sottili, distribuiti ovunque sul pavimento, da pesare oltre dodici tonnellate. Eppure incapaci di sostenere il peso di un uomo senza farne vacillare le gambe.
Nell’installazione per lo Spazio FVG Paolo Toffolutti (Udine, 1962) porta una marea di sabbia nella sala che ospita le carrozze ottocentesche, anticamente sede delle scuderie. È in questo modo che i visitatori sono indotti ad abbandonare la reverenza nei confronti dei muri sapidi di passato e delle carrozze, che appaiono così solo i semplici frutti che la storia ha lasciato appesi ai propri rami rinsecchiti. I residui del tempo passato, musealizzati dall’operosa necessità di conservare, sembrano così ritornare in gioco –illusoriamente– nel presente, pur incapaci di produrre effetti visibili nell’hic et nunc del contemporaneo. Nella dinamica di decontestualizzazione storica (che mira a capovolgere il senso del tempo irridendone la linearità) è l’accumulo dei granelli di sabbia a riportare il disordine della vita in un contesto chiuso incapace di interagire. La certezza del pavimento stabile del museo viene meno, non si percepiscono che morbidamente i confini dell’opera e la sua (in)consistenza ne è nel contempo limite e punto di forza.
Sembra così che il vento abbia portato dal deserto la sabbia, o che un pezzo di costa marina abiti tra le pareti della villa, come suggerisce il titolo. Sous les Pavés, la Plage indica proprio lo scarto tra la realtà degli elementi più semplici della realtà e l’utopia che li sottende, anche se nascostamente. Il motto (Sotto il lastricato, la spiaggia) è uno di quelli che riempivano i muri di Parigi negli anni delle contestazioni studentesche, quando i cubi dei sanpietrini venivano divelti per essere lanciati contro la polizia, lasciando vedere la sabbia di una spiaggia distantissima, ma proprio per questo ideale e sogno necessario.
Nel video M’ama, non m’ama Toffolutti è seduto su di una sedia, inquadrato solo dal collo in giù, scelta che necessariamente lo priva di una identità personale. A suo fianco, su di un tavolino, ci sono riviste d’arte contemporanea: l’artista con ansia sfoglia le pagine, cercando notizie sul proprio lavoro, conferme della propria affermazione individuale, del proprio successo.
Ma è la frustrazione, la rabbia, la delusione, il dubbio di essere periferica vittima e non protagonista del sistema dell’informazione a spingerlo a strappare le pagine, una di seguito all’altra, come nel gioco che fanno gli innamorati con la margherita. E così il pavimento lentamente si ricopre delle pagine dei giornali in una lunga e sofferta ricerca, tra nevrosi, autocompiacimento e gesto masturbatorio.
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