In queste due edizioni,
ManinFesto ha avuto il merito di fare il punto sulla realtà di quel Friuli Venezia Giulia in cui, oltre ai centri istituzionali e alle realtà no profit particolarmente interessanti, vive e prolifera un sottobosco di artisti aggiornati e particolarmente attenti alle istanze più rappresentative della contemporaneità, ma che spesso faticano a emergere e rimangono solo periferici al sistema dell’arte.
La scelta del medium fotografico ha scoraggiato le iscrizioni, segno evidente che la facile accessibilità del mezzo è in realtà una condizione non così centrale. Anzi, paradossalmente vi è stata una selezione naturale alla fonte dovuta proprio al mezzo tecnico, da cui sembra emergere una ricerca che centra la specificità fotografica. E così, tra i finalisti, sono completamente assenti gli artisti che utilizzano la fotografia come mezzo espressivo, mentre non mancano i fotografi che possono essere annoverati tra gli artisti. Inutile dire che qualche lavoro non è sembrato così fresco e che, visti i nomi di coloro cui è stata attribuita solo la menzione speciale, probabilmente più di qualcuno non avrebbe sfigurato fra le stanze della villa. Ma è inevitabile che in un concorso vi siano punti di vista differenti.
Molto suggestivi gli scatti di
Alessandro Paderni, realizzati in camere d’albergo dove brillano schermi televisivi che testimoniano l’unica presenza umana. Paiono un po’ stucchevoli i televisori spenti del I premio
Carlo Andreasi, del quale sono migliori le foto di grandi dimensioni che ritraggono stormi d’uccelli, e nel complesso il suo lavoro brilla essenzialmente per la raffinatezza dell’allestimento.
Gli
Interni di famiglia di
Valentina Brunello (II premio) si inseriscono senza particolare freschezza nel genere del “ritratto di borghesi” che già appartiene alla storia della fotografia, mentre ha un sapore particolare il territorio friulano indagato da
Massimo Crivellari.
Stefano Graziani (III premio) presenta in maniera raffinata alcuni scatti dal progetto
Tassonomie -stampati con una scala tonale molto chiara- tra cui spiccano il canneto di bambù e la civetta (ritratti dai giardini botanici e musei di storia naturale). Non convince invece il lavoro dedicato al cibo di
Carlo Vidoni, forse per l’allestimento che svia lo spettatore, anche la foto con la statuina del Buddha sopra la carne macinata fa sorridere.
Le composizioni in bianco e nero di
Maurizio Frullani hanno tutto tranne la leggerezza, mentre il lavoro che è parso più interessante è quello di
Marco Pighin, che realizza un reportage sulla Moldavia con la capacità di combinare colore, situazioni complesse e geometrie in maniera sorprendente. E spiace che risulti penalizzato da una stampa fotografica mediocre e da un allestimento sovraccarico.