Ancora una conferma alla direzione intrapresa da molti giovani artisti italiani nei confronti della nuova figurazione, che sempre più si spinge verso una dimensione asettica e sintetica, vicina a quel mondo virtuale che tanto influenza i canoni estetici di questi ultimissimi anni. Dove attrae e seduce tutto ciò che è glamour, comprese artificiosità e vacuità, sempre doverosamente inserite in un contesto elegante e ricercato.
Nessuno spazio viene concesso all’analisi psicologica, alla ricerca introspettiva che rischierebbe di rendere umane queste nostre nuove icone contemporanee. Lontane da noi proprio perché perfette, composte, completamente inanimate.
Ecco, dunque, che anche in questa nuova personale di Alberto Castelli (Torino, 1970), le donne ritratte sono isolate, come delle nature morte, su fondali neutri e confinate in una dimensione fredda, dove nessun particolare è naturale e spontaneo. Il tutto è volutamente veicolato da una pittura nitida, cui si unisce un taglio fotografico che rimanda immediatamente, per posa e luce, alle immagini pubblicitarie.
Con questo modo di operare l’artista ottiene di duplicare alla perfezione un’immagine che, già in partenza, è stata costruita e impostata a tavolino. Falso del falso, queste opere nella loro totale mancanza di contenuti descrivono efficacemente la superficialità – da cui soltanto a tratti affiora inevitabilmente anche una vena malinconica – dei canoni estetici attuali, dove nessun particolare deve essere lasciato al caso. Il trucco, i capelli e i vestiti di queste figure femminili sono sempre scelti con particolare cura. Non è importante chi abbiamo di fronte ma solo come ci appare. L’artista dunque non ci offre alcun appiglio che possa aiutarci a ricostruire l’identità di questi soggetti, volutamente non contestualizzati o posti in relazione tra loro.
Quelle di Castelli sono opere nelle quali la bellezza esteriore è protagonista assoluta e per questo tutto ciò che non è giovane, ricercato e alla moda non può trovare alcuno spazio.
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Un buon articolo che sarebbe perfetto, cambiando solo il nome dell'artista, per molti altri dalle tematiche (o anti-tematiche) identiche. Tanto per dirne uno, possiamo citare Asgar, di cui è appena terminata una personale al nuovo spazio della Marella, a Como. Foto prese da riviste, copiate con una tecnica senza dubbio invidiabile, ma senza profondità, senza anima, senza impegno intellettuale. Si, forse è vero: è questo quello che ci rappresenta: la negligenza spirituale.