La mostra friulana presenta una selezione di una quarantina di stampe recenti di
David Goldblatt (Randfontein, 1930), in bianco e nero e a colori, che proseguono un percorso espositivo che ha portato il fotografo alla ribalta dell’interesse internazionale, recentemente culminato con l’Hasselblad Award.
Uno spaccato della storia contraddittoria e drammatica del Sudafrica, noto al grande pubblico grazie all’opera del Nobel Nadine Gordimer -protagonista della manifestazione che ospita la mostra fotografica- con cui l’autore ha più volte collaborato per la realizzazione di libri fotografici come
On the mines (1973) e
Lifetimes under apartheid (1986). Le immagini in mostra sono una ulteriore tappa della collaborazione tra i due in un comune sentire, con la convinzione che il loro lavoro sia “
utile all’umanità solamente nella misura in cui usa la parola anche contro le proprie convinzioni; crede che la condizione dell’essere, per come si è rivelata, abbia da qualche parte nella sua complessità, filamenti della corda della verità che potranno essere intrecciati, qua e là nell’arte”.
Il lavoro di Goldblatt potrebbe essere condensato accostando la foto più datata a quella più recente. È una vera e propria narrazione per immagini, che comincia nel ‘52 con un gruppo di minatori neri e finisce nel 2006 tra progetti abitativi non portati a termine e periferici paesaggi semi-desertici. Nel mezzo, il percorso è costituito da alcuni passaggi nodali della storia del Sudafrica attraverso i volti e i luoghi dei minatori, i lavori della strada, i dettagli delle persone che si riposano nei parchi, i funzionari bianchi e di colore della nuova Repubblica, ma con uno stile che evita ogni eccesso e ricercata spettacolarità.
Ed è in questo che sta la grande forza di queste fotografie, nella capacità di narrare –ma anche di denunciare– un mondo drammatico che viene vissuto fino in fondo pur senza toni esasperati, con la sola impellente necessità di raccontare. Anzi, le sequenze dei dettagli delle mani o dei vestiti, la ricerca sugli edifici suburbani o, ancora, le ampie visioni metropolitane di Johannesburg dimostrano un’attenzione fotografica, puramente fotografica, unita a un’enorme consapevolezza delle potenzialità estetiche del mezzo.
La storia, che possiamo solo immaginare attraverso queste fotografie, è quella vera, in ultima istanza quella vissuta e raccontata da chi vi ha preso parte. Come scriveva la stessa Gordimer: “
Se si vuol conoscere i fatti della ritirata di Mosca del 1812 si può leggere un libro di storia. Ma se si vuol sapere com’è fatta la guerra e come determinati esseri umani in una determinata epoca abbiano vissuto la guerra, allora bisogna leggere Guerra e pace”.
Nello stesso modo abbiamo la fortuna di guardare e intendere le fotografie di David Goldblatt.