Emilio Vedova (Venezia, 1919), nonostante l’età veneranda, ha voluto studiare personalmente la situazione espositiva. Definendo una mostra incentrata su opere degli anni Ottanta, attraverso cui ribadire una visione artistica impostata sulla dialettica, così da rendere conto della complessità di incontri, situazioni (“sapete voi cos’è nascere a Venezia?” scrisse), in un universo vitale di pensieri.
Tredici brani dell’artista risuonano nella galleria, per valicare ogni autonoma definizione e relazionarsi al contesto, incontrando spazi, uomini, occhi. Dal grande formato a superfici minime, coerenti con l’impeto gestuale e la forza di masse cromatiche in cui il nero assurge a riferimento fondamentale. Su di esso scoppi di colori improvvisi conducono a presenze, inquietudini, talora scontri, che coinvolgono l’osservatore: sono gli anni Ottanta che ricordiamo per i Dischi, i Tondi, gli Oltre, i Non dove, per quelle azioni pittoriche sfociate nello sfondamento della tela alla Biennale del 1986. Dei grandi brani di allora sono esposti due Supporti transitori (1982), cui si affiancano piccoli dischi bifronti, tele e carte provenienti dallo studio personale. Tra questi spiccano Del no (1980), Compresenze (1985), oltre ai già citati Supporti transitori (1982), opere il cui senso Vedova ha voluto confermare con la presenza di una recentissima Venezia tratta da Ciclo 2006, in cui gli elementi strutturali del dipingere dell’artista sono ribaditi in una volontà di affermazione vitale.
Stesure spesse, gesti ravvicinati e quel contatto fisico con la materia pittorica che fu già del Tintoretto e di Tiziano maturo (definito dai biografi“sgarfazzar con le mani”), costituiscono l’affermazione dei valori sostanziali della ricerca di Vedova così come è andata dispiegandosi in oltre settant’anni di intensa, febbrile, carriera.
francesca agostinelli
mostra visitata il 27 maggio 2006
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