Se non ci fossero i cartelli che ce lo indicano, e le scatole di cartone a formare dei muri tra le volte dell’esedra di Villa Manin, quasi non riconosceremmo l’intervento di Davide Skerlj (Trieste, 1963). Penseremmo ad un luogo non finito in cui muratori ed elettricisti ancora lavorano per allestire le sale. Mancano intonaci, pavimenti, serramenti; tutto odora di cantiere, di allestimento provvisorio, di luogo ancora in fieri. Una zona che non è ancora abitata o abitabile, che si trova ancora all’Esterno. È questo il titolo della complessa installazione nel braccio della villa esteso verso la campagna, in un luogo fisicamente distante dal corpo centrale, periferico rispetto alle dinamiche di fruizione del centro espositivo.
Skerlj, in maniera mimetica rispetto al contesto ambientale, mette insieme oggetti quotidiani e piccoli cocci di terracotta che riproducono porzioni di volti umani. E così, stretti e legati con del filo di ferro, orecchi e bocche sono appesi al muro per creare un contrasto con l’ambiente, uniche presenze facilmente percepibili come manufatti artistici. Qualche fumetto da collezione confezionato nelle buste di cellophane, dei guanti di gomma, delle bottiglie di plastica, uno spazzolino e un tubetto di dentifricio sono invece gli elementi che raccontano di una presenza umana, di uno spazio che è stato vissuto o in qualche modo oggetto di appropriazione. Anche se risulta evidente che l’artista triestino agisce per sintesi, per allusione, per somma di addendi molto piccoli.
La volumetria non ortogonale dello spazio (che risulta curvato ad emiciclo) è interrotta invece da scatole di cartone poste tra alcune delle colonne centrali che sostengono la copertura del tetto. La percezione dell’ambiente risulta così discontinua, suggerendo un percorso di osservazione non organizzato, non lineare, non gerarchico. La visione d’insieme è negata e sembra ridursi così a giustapposizione di punti di osservazione, disposti per paratassi e senza ordine.
Non sapremo mai invece se le scatole di cartone siano freddi contenitori vuoti o vengano internamente animate dalla presenza di qualche oggetto che appartiene alla storia individuale dell’artista. O di noi tutti. Oppure se si tratti solo dei disperati contenitori per le nostre personali attribuzioni di senso.
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daniele capra
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comlimenti alla programmazione per le scelte ???
Già nell'aprile del 1984 hai "vissuto" e ti sei materialmente "appropriato" del tuo primo spazio espositivo: la Galleria d'Arte Comunale di Cavarzere. E "l'installazione" era proprio lì... scivolata dalle pareti che esponevano i tuoi primi lavori, fra cartoni di pizza, bottiglie di birra rigorosamente scura e pagliericci... dove dormivi assieme all'amico S. Zagniboroda, che rivedrei anche lui volentieri. Naturalmente conservo ancora gelosamente i vostri "cartocci", pretesto di un'idea che oggi hai sontuosamente realizzato a Villa Manin.
Se la "carestia" di Trieste e i ponti di New York ti hanno stancato, torna a Cavarzere...: una pizza, un pagliericcio e una birra scura li troverai sempre. Lo spazio per le tue installazioni, fra le nostre nebbie, non mancherà.
Con stima, affetto e mélancolie...Antonio.