La mostra è divisa in due sezioni: la prima dedicata all’ultima produzione, l’altra retrospettiva. Illustra, in otto sale, il lento processo di trasformazione che l’opera di Sergio Scabar (Ronchi dei legionari, 1946) ha maturato a partire dai primi anni settanta ad oggi.
Per chi conoscesse solo le fotografie più recenti di questo autore, assolutamente riconoscibili nel panorama della fotografia contemporanea, sarà forse una sorpresa scoprirne le origini. Non ci si aspetta, infatti, che l’opera di Scabar sia stata, in passato, così fortemente venata di concettualismo. In produzioni come Persuasione consumistica (1973) la forma delle immagini è vincolata più a un’idea progettuale che a principi compositivi. L’iteratività, la serialità erano strutture adottate spesso da questo autore, come dimostrano le sequenze di Interno di un interno di un ospedale psichiatrico (1976), o
E’ a partire dagli anni ’80 che iniziano a comparire le prime stampe che porteranno alla caratterizzazione stilistica odierna di Scabar. Dapprima con opere dal sapore informale (vedi Lungo i marciapiedi) fino ad arrivare alla Serie del Mare, nella quale adotta manipolazioni in camera oscura che non può controllare completamente. Tant’è che definirà alchemiche le sue stampe ai sali d’argento.
Da questo punto in poi l’autore abbandonerà progressivamente le qualità documentarie della fotografia e, mantenendo solo alcune peculiarità di quest’arte, inizierà a produrre immagini nelle quali luce, oggetti e sfondo saranno composti con un chiaro intento armonico.
Non a caso, utilizzerà sempre più spesso un formato fotografico che gli consentirà di produrre negativi sempre più incisi e variazioni tonali notturne nelle quali sarà possibile ritrovare, sorprendentemente e in alcune stampe più
L’opera odierna di Scabar si fonda sulla sua disciplina compositiva, nella maniacalità con la quale sceglie e mettere in relazione tra loro oggetti che appartengono a un altro tempo, ma soprattutto sull’abilità con la quale comprime la gamme luminose della realtà, confinandole all’interno di uno spettro di gradazioni buie nel quale il nostro occhio, indagando, si perde.
Scabar non raffigura la contemporaneità e non appartiene al presente. Nelle nature morte che forma o negli scorci che va cercando, rappresenta un’epoca già tramontata, che riaffiora, malinconicamente, attraverso il suo sguardo. .
giulio aricò
mostra vista il 16 febbraio 2003
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... ma le foto sono così scure anche negli originali?