Villa Manin riapre sotto la nuova direzione di Marco Goldin che, dopo Treviso, Brescia e il mancato sbarco a Verona, si trasferisce nella residenza dogale, presentando un programma pluriennale che spazia dagli oramai amati impressionisti fino alla Secessione. Cambiato il nome (si è persa la dicitura
Centro d’Arte Contemporanea), a mutare è stata “solo” la veste, che del passato recente conserva alcuni brandelli – le sculture – dispersi nel labirintico parco.
Il primo passo è stato così quello di rendere omaggio alla pittura friulana, con una retrospettiva di centotrenta tele, realizzate fra il 1942 e il 2009, dall’artista friulano
Giuseppe Zigaina (Cervignano del Friuli, Udine, 1924). Un intenso percorso pittorico, in cui si susseguono in ordine cronologico tutte le tematiche care all’autore: dai girasoli alle ceppaie. Dai soggetti storici e religiosi, in cui forti sono le suggestioni dichiarate di
Picasso e quelle sottaciute ma evidenti di
Rouault e
Dix. Dalle biciclette, divenute oramai emblema della sua pittura, nonché del Neorealismo, alle sospensioni baconiane che ritraggono il padre.
S’inizia con
Il Girasole del 1942, un lavoro che contiene
in nuce la maggior parte degli elementi che ritroveremo nella sua pittura, quelle “
forme morte” accarezzate da colori notturni e abbandonate in natura come strati di memoria sedimentati nel tempo. Quasi avanzi di un pasto nudo, dove insetti mutanti e funeste falene si alternano a pezzi anatomici dilaniati dalla guerra. Sono i ricordi tragici dell’autore, smossi dagli impetuosi torrenti friulani e tenuti a galla dalle acque della laguna di Grado che, nelle ultime tele, viene trasfigurata da un segno grafico che scalfisce la superficie.
Zigaina ha sempre pescato negli anfratti profondi e paludosi della mente, dando vita a tormentati paesaggi dell’interiorità . Un’interiorità malinconica come un tramonto invernale, in cui a dominare vi è sempre un senso d’infinita attesa, che non sapremo mai se avrà buon fine. Tutto è sospeso, misterioso, silenzioso. Un silenzio pesante, che si manifesta in tutto il suo disagio e la sua forza nei dipinti degli anni ’50, e in particolar modo nell’
Attesa del traghetto serale (1951).
Se in questi lavori la figura dell’uomo e quella della natura sono quasi speculari, tanto da rispecchiare l’uno gli umori dell’altro, negli ultimi paesaggi Zigaina raggiunge una fusione totale fra questi due elementi: arterie e fasci muscolari s’innestano nella terra, unendosi alle radici e generando continue metamorfosi.
Anche i colori, così come le forme, si fanno con il tempo sempre più materici e carnali, per poi liquefarsi nello sfondo e confondersi con esso, come accade in
Verso la laguna, tela realizzata appositamente per la rassegna e che va a chiudere il percorso.
Un percorso allestitivo che segue l’ordine cronologico, in cui lo spettatore può confrontare l’evoluzione stilistica dell’artista. Ma al di là di questa scelta, che rispetta il consueto iter educativo adottato dal curatore, quello che spiace è che si sia optato per la realizzazione di contropareti, tanto da trasformare uno spazio così importante in contenitore neutro, e non si siano cercate, al contrario, soluzioni più suggestive e stimolanti.
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che noia micidiale! ridateci er puzzone! immergiamo bonami nella pece e piume (che se le merita) ma ridiamogli un pezzo di curatela, mezzo piano della villa perchè altrimenti
con goldin paesaggi e alberelli a iosa!
e zigaina? ma non era morto trent'anni fa?
dopo la sparizione degli operai gli ideali se ne sono andati
e non rimane che il mercato locale: natura ritorniamo alla natura! paesaggi e cieli turbolenti, il sutherland del friuli, il guttuso del nord est, la tiritera del mestierante!
otto dix? ma otto non faceva mica lo stesso quadro 360 volte!
e la caratterizzazione dei personaggi? qua operai e contadini hanno l'individualitĂ dei birilli!