Il valore del gesto, del segno –sempre vitale e in continuo movimento– emerge con evidenza anche in quest’ultima personale di Nata, che segue soltanto di pochi mesi quella organizzata per inaugurare il nuovo Spazio Fvg del Centro d’Arte contemporanea di Villa Manin.
Particolarmente riuscito l’allestimento delle opere in mostra, tempere su carta affiancate le une alle altre su due livelli sovrastanti, andando così a creare una sorta d’installativa. Con questa soluzione viene anche centrato un aspetto fondamentale del concepire, e di conseguenza creare, arte di questo autore. Il singolo dipinto si rivela, infatti, soltanto momento di passaggio, particolare attimo creativo inseribile in un contesto più ampio, che scavalca l’idea del dipinto singolo, concluso e autonomo in sé.
Nata, infatti, lavora in maniera veloce e quasi irruente, operando contemporaneamente su più opere che, anche per questo, possono sempre andare incontro a nuovi mutamenti e sviluppi, senza che il processo sia mai destinato a interrompersi o esaurirsi. L’immediatezza e la fugacità di una sensazione, infatti, non lasciano spazio a pause e non concedono momenti riflessivi. Il rischio, altrimenti, è che l’attimo stesso della percezione si dissolva e sfugga. Eppure, anche in questo procedere apparentemente caotico (comune a molti grandi artisti) è difficile imbattersi in un lavoro non riuscito e all’interno del quale qualcosa strida.
Una creatività, dunque, assolutamente libera e prorompente e dalla quale possono nascere opere tra loro formalmente diverse, ma sempre fortemente espressive. Dalle composizioni essenziali e nitide o, invece, con campiture frazionate e irregolari, dove i segni si accavallano e intersecano in un dinamismo fluido, a volte decorativo. Anche cromaticamente non sussistono regole fisse, stesure monocromatiche possono alternarsi a fitte trame tonali. I colori scelti, che appartengano a gamme calde o fredde, sono in ogni caso decisi, vivaci e accostati anche con soluzioni non scontate.
In questa serie di opere l’astrattismo non è sofferente e lacerato, e fondamentale si rivela sempre il momento creativo. Definibile, usando parole di Carla Lonzi, come “… pretesto su cui una fantasia nomade possa lasciare qualche impronta, ciò che resta del provvisorio entro cui è movimentata l’esistenza”.
Merita un accenno l’invito/catalogo della mostra che, una volta aperto, si tramuta in un ampio assemblaggio delle opere esposte. Altra opera sull’opera.
elena londero
mostra vista il 27 novembre 2004
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tempera su quella carta...è un effetto luce, coperta, cielo