Sono tre gli interventi di
Virginia Di Lazzaro (Udine, 1983) realizzati per “Spazio FVG”, il laboratorio creativo che s’innesta sull’attività espositiva internazionale del Centro d’Arte di Villa Manin e che propone artisti del territorio regionale. La personale, intitolata pomposamente
Maschere (e non certo con un intento carnascialesco), è ispirata dalla volontà di mettere a nudo le convenzioni e i luoghi comuni di cui la vita è infarcita. La mostra è concepita, infatti, per far prender coscienza allo spettatore che le maschere che inavvertitamente tutti indossiamo non servono tanto a travestire e a celare le nostre identità, piuttosto rivelano la nostra miopia, mostrandoci l’occhio deformato con cui guardiamo e giudichiamo il mondo.
È il caso di
Donna+lampione, video di una performance notturna realizzata nei pressi di Villa Manin, quando tre donne hanno sostato in piedi sotto la luce di un lampione. Inevitabile l’associazione donna-prostituta, ed è proprio questo che Di Lazzaro vuole indurci a pensare. Ma è nell’esplicitazione della facile conseguenza logica che chi osserva mostra il proprio
pre-giudizio, dato che mancano i dati, le azioni, i gesti, per capire e rendersi conto se effettivamente così è. In più, con ironia forse involontaria, i tre video (in loop e allestiti l’uno accanto all’altro) sono collocati nella virilissima sala delle armi, tra lance, spade, moschetti e archibugi, in maniera da urlare ancor più a bassa voce la fragilità dell’universo femminile.
Con
La ideale la giovane artista friulana ha scelto invece di realizzare un cartellone su cui i visitatori sono invitati ad attaccare adesivi colorati -a ciascuno dei quali è associata una qualità femminile- che corrispondono alle tre qualità fondamentali della donna ideale: il giallo corrisponde ad “allegra”, il rosso a “forte”, il verde a “stupida”. L’insieme degli adesivi costituisce una trama cromatica che verrà riportata su un tessuto, molto simile alla foggia in cui siamo abituati a vedere Arlecchino, anche se inevitabilmente l’effetto finale è quello di rendere la donna oggetto di un giudizio, e non solo da parte maschile (e proprio in quest’ottica è parsa di difficile comprensione la porzione di tessuto
già realizzata che è stata distesa nella stanza successiva).
È invece così femminile, e allo stesso tempo così antifemminile da sembrare orgogliosamente femminista, l’opera interattiva
Reciso, costituita da una lunga fila di piante di tulipani, ciascuno affiancato da un vaso con acqua e un paio di forbici. È chiaro l’invito rivolto allo spettatore, stimolato a recidere il fiore per collocarlo nel contenitore. La dinamica è quella di indurci a sacrificare l’elemento naturale a favore della funzione estetico-decorativa, ma è in fin dei conti una riflessione sul nostro modo di stare al mondo, che implica una sterminata catena di scelte, talvolta necessarie, talvolta inevitabilmente spietate e dolorose.