Dopo la trasferta polacca a Wroclaw e la vetrina al Teatro Junghans durante la Biennale veneziana, approda alla Galleria di Monfalcone (sede di produzione) il progetto Albedo, arricchito da nuovi apporti e nuovi contenuti. Alla mostra dei video si è aggiunta infatti la personale Viaggio al centro della terra del fotografo Stefano Graziani (Bologna, 1971), complemento necessariamente statico alla transitorietà dell’immagine in movimento.
Graziani, tra il 2003 ed il 2006, ha realizzato una serie di scatti a colori nei musei di storia naturale e nelle serre di mezzo mondo, attratto tanto dall’aspetto concettuale della “riproduzione di una riproduzione”, quanto all’aporia dovuta all’impossibilità di documentare una realtà che si sottrae al fluire del tempo. Ecco così un viaggio che parte all’insegna dell’avventura alla Jules Verne (da qui il titolo della mostra) per concludersi con le Tassonomie di Linneo. Scimmie, tigri, zebre ed orsi rigorosamente finti, ma anche piante e felci tenute in vita artificialmente in luoghi distanti geograficamente dalla propria origine, diventano emblemi della metodologia con cui classificare e dare un nome alla proteiforme varietà del mondo vegetale ed animale. Ma anche dell’utopia di ordine che finisce inevitabilmente a congelare la realtà. Da questo punto di vista il ciclo di immagini, sebbene molto curato e tecnicamente raffinato, non aggiunge molto al lavoro condotto da Hiroshi Sugimoto –che l’autore cita in catalogo– e non si trova il furor classificatorio che ritroviamo nella scuola tedesca dei Becher che ben si addice ad una fotografia che percorre con rigore il sentiero del concettuale.
Ciononostante l’allestimento interessante (alcune foto sono collocate sul pavimento, quasi a negare l’idea di mimesi del reale che si tende ad attribuire a lavori appesi verticalmente alla parete), la sensazione finale è che ci siano le singole opere, ma sia debole il filo che le unisce.
La sala maggiore della galleria ospita invece i video presso due postazioni, ciascuna della quale proietta in loop per ordine alfabetico le tredici opere, a distanza di metà ciclo. Nelle parole del curatore gli artisti della mostra “attribuiscono alla bellezza una funzione ontologica, necessaria a colmare l’abisso che si apre tra la rappresentazione ideale e la reale manifestazione degli eventi. La serena contemplazione delle istanze narrative, l’attenzione allo stile, connotano una produzione spesso esente da contenuti altri, mirante alla rappresentazione in quanto tale”. Sotto questo profilo il lavoro di Michael Fliri (Alto Adige, 1978) è tra i più creativi: un ragazzo è in panne in mezzo al mare su di una barca costruita di bottiglie di plastica vuote e cerca di farsi notare accendendo un bengala ma finisce irrimediabilmente avvolto tra il fumo. Ha una dimensione di sospensione onirica invece il video Asini albini del duo milanese Linke (1966) Martegani (1963) in cui i quadrupedi si mostrano quasi immobili nella loro inquietante livrea bianca.
È spettacolare Clinamen di Luca Trevisani (Verona, 1979) in cui delle piccole sfere di ghiaccio si sciolgono mandando all’aria Democrito e la sua filosofia mentre il video Teenage Lightning dei Zimmerfrei è invece quello che maggiormente sviluppa il registro narrativo. L’Attraversamento del ponte di Millau di Alex Cecchetti (Terni, 1977) e Christian Frosi (Milano, 1973), che mostra il gioco visivo dei tralicci che si inseguono senza soluzione di continuità, è forse quello che sintetizza di più l’esperienza dell’abbaglio della luce, alla ricerca dei fantasmi luminosi dei bagliori del sole, e della forma che si fa bellezza.
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