La Comunale di Monfalcone è una galleria ampia e luminosa. Sicuramente adatta ad ospitare anche l’ultimo progetto ideato da Andrea Bruciati. Ovvero “consegnare” questo spazio a tre giovani artisti, per un work in progress di una decina di giorni, invitandoli ad abitare la galleria, per creare e realizzare in loco le loro opere. A lavori conclusi il risultato non delude. Il primo aspetto che sembra emergere è la differente, relazione che gli artisti hanno nei confronti del colore. Centralissimo in questa mostra.
Alle stesure nitide e pulite di Vanessa Chimera (Udine, 1971) e Federico Maddalozzo (San Vito – Pd, 1978) si alterna, infatti, l’uso vitale e “sporco” che del colore ha fatto Paul Griffiths (Manx – Isole di Man, 1981) durante la sua performance.
Punto di partenza, per Paul Griffiths una vasca da bagno colma di tempera nera, utilizzata dall’artista con la tecnica del dripping, ovvero sgocciolando il colore con le mani, compiendo un’azione pittorica (affine a quell’Action Painting dalla lunga storia) sempre in precario equilibrio tra intenzionale e non-intenzionale, dove la gestualità dell’artista è elemento essenziale.
La gocciolatura prima è stata compiuta su alcuni teli (successivamente appesi), e poi all’interno della stessa galleria, con una scia cospicua che si snoda prima in uno stretto cunicolo chiuso da due alte pareti per poi sfociare in un’altra sala. Qui il colore si allarga, distribuendosi sul pavimento e, in piccola parte, sulle pareti. Un colore così dilagante da costringere gli addetti a tentare successivamente di arginarlo con manciate di farina. Così oggi il liquido nero è una poltiglia grigia, grumosa, secca. Davanti alla quale si staglia la grande scritta, ironica e provocatoria, “When life seems hard shoot yourself” (Quando la vita ti sembra difficile, sparati). Ogni lettera emblematicamente formata da una fitta trama di crisantemi gialli, presto appassiti.
Un’espressività intensa e immediata cui fa da contraltare l’operazione degli altri due autori. Federico Maddalozzo, in particolare, ricerca nel processo di riproduzione di una determinata cromia, e nel tema della sua controversa percezione, il senso dei suoi interventi. Unica soluzione valida si dimostra, proprio per questo, l’universale scala Pantone, con cui l’artista registra alcune tonalità di grigi sulle pareti della sala centrale della Comunale. In un altro caso alterna ordinatamente lucidi campioni color ciano a immagini di un distributore di benzina berlinese, del medesimo colore, ma interpretato in una sequenza fotografica che coglie i cambiamenti di luce (e, di conseguenza, di cromia) che si susseguono nel corso di una giornata. Anche i volumi che questo giovane artista innesta lungo i vani della scala che porta al primo piano riproducono l’azzurro berlinese. Qui è ancora più stretta la relazione tra l’opera e l’ambiente per la quale è stata ideata.
Stessa cosa accade il grande triangolo rosso di Vanessa Chimera che, come un controsoffitto, crea idealmente un nuovo vano della galleria, fruibile. Cui si affianca la creazione di un secondo spazio/opera. Una stanza completamente bianca, Pareti, pavimento, soffitto, i pochi e semplici mobili. Tutto del medesimo non-colore. Una monocromia macchiata da un’unica e quasi introvabile nota di colore, il segno rosso lasciato dal fondo di un bicchiere sul tavolo. Razionale, asettico, leggermente inquietante.
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