Per l’avanguardia futurista, la
fotografia dalle fattezze armoniose di ispirazione pittorialista è cosa
assolutamente superata, come scrivono
Marinetti e
Tato nel
Manifesto della Fotografia
Futurista del
1930.
Sono già altri i modelli di
riferimento, come la rottura rispetto alla tradizione, l’infrazione delle regole;
l’eversione tipica del Futurismo è infatti già rintracciabile nei primi
multiritratti a specchio di
Vittorio Alinari, che frantumano lo spazio e
moltiplicano la realtà, inducendo a una riflessione sullo sdoppiamento dell’io.
Tuttavia, il cammino della fotografia verso l’olimpo delle arti è inizialmente
tortuoso, considerate soprattutto le diffidenze degli stessi futuristi, tra i
quali
Boccioni che, sulla base del pensiero bergsoniano, ritengono la fotografia un sussidio
della pittura, un medium freddo che congela l’
élan vital, uno strumento puramente
meccanico privo dell’atto creativo del soggetto proprio delle arti
tradizionali.
Proveranno i fratelli
Anton
Giulio e
Arturo
Bragaglia a dar
voce all’“
insonnia febbrile”, a quel principio dell’arte-azione e al vitalismo tipico
dell’approccio futurista, con la tecnica rivoluzionaria del fotodinamismo (
Salutando, 1911;
Dattilografa, 1913), seguiti da
Fortunato
Depero che, con
gli eloquenti e ironici autoritratti
Riso Cinico e
Autoritratto con Pugno, si contrappone agli autori
decadenti delineando una precisa visione del mondo.
La ricerca futurista prosegue e la
fotografia italiana si apre alla modernità internazionale, collegandosi anche
alle altre avanguardie europee, tanto che molti fotografi, non futuristi,
aderiscono al movimento in funzione della sua poetica sperimentale. La mostra
passa in rassegna i generi espressivi esplorati in maniera episodica e
intuitiva tra gli anni ‘20 e ‘30: la ritrattistica e le immagini di stati
d’animo (
Io + gatto di
Wanda Wulz, 1932;
Radiosintesi di
Ferruccio Demanins, 1932), la fotografia come
efficace strumento propagandistico e politico, il fotomontaggio e il
fotocollage (la serie
Giochi Olimpici di
Paladini, 1934), il camuffamento d’oggetti che approda nei
ritratti sovversivi di
Munari, la fotografia d’architettura, le immagini dove è
centrale l’indagine sulla luce (
Madonna col bambino di
Guarnieri, 1931).
Merita un cenno il rapporto del Futurismo
con il regime fascista e l’iconografia militare, che si traduce in immagini
paradossali, dove i simboli alienanti dell’avanguardia sono usati per
rappresentare il regime. Tato e
Bertoglio, il primo attraverso il fotomontaggio (
La
rivoluzione italiana,
1931-32), il secondo attraverso l’inquadratura e la geometria formale (
Simboli
dell’impero,
1937;
Il decennale,
1932), regalano visioni metaforiche, astratte ed estranianti.
La carica innovativa e
sperimentale di queste, come di tutte le altre fotografie presenti in mostra,
non può che risultare stupefacente, tanto per le tecniche usate quanto per i
significati e i sensi che celano. Paradigmi che ancora oggi sono applicabili
alla contemporaneità.