Câè un legame strettissimo tra arte e utopia, essendo la capacitĂ dellâarte di generare orizzonti distanti e mondi possibili pressochĂŠ infinita. Via via lungo la storia, lâarte si è nutrita e ha allo stesso tempo creato il mondo ideale dei religiosi, dei filosofi e degli esteti, ma anche quello alternativo dellâuguaglianza sociale, dellâutopia politica, fino a quello -terribile e angosciante- dei totalitarismi impegnati a elaborare la propria mitologia.
Ă invece unâutopia realizzabile, senza però essere ancora a portata di mano, quella che propone
Nikola Uzunovski (Belgrado, 1979) con il progetto
My Sunshine, che gli è valso il premio di Giovane Emergente assegnato da Trieste Contemporanea. Il suo lavoro, a cavallo tra public art e arte relazionale, è un vero e proprio work in progress mirato a cambiare le abitudini e gli stili di vita della popolazioni della Lapponia, dove, a causa della rotazione dellâasse terrestre e per lâestrema vicinanza al circolo polare, dâinverno non arrivano i raggi del sole e la luce naturale è solo un rumore di fondo. Lâartista ha pensato di creare un sistema di illuminazione con specchi collocati su palloni in grado di riflettere la luce dallâalto verso il suolo, portandola tra le case e le strade, favorendo da un lato maggiori relazioni sociali e dallâaltro un cambiamento degli stati umorali e psicologici.
Il progetto può per certi aspetti ricondursi allâidea dâintervento ambientale, alla capacitĂ cioè di agire per creare dei mutamenti sulla percezione del paesaggio, ma in senso stretto è basato essenzialmente sulla capacitĂ di creare sculture con la luce, argomento giĂ caro alle avanguardie americane degli anni â60. La finalitĂ di ordine relazionale invece è assolutamente nuova, e in questa câè tutto il carico dellâutopia, capace di rendere reale lâimpossibile, confrontandosi con tutti gli strumenti scientifici del caso. Non si pensi infatti al progetto di Uzunovski come una semplice fantasia infantile, tuttâaltro: lâartista ha coinvolto scienziati e ricercatori di universitĂ prestigiose come Cambridge o la Sissa di Trieste, che sono stati presenti alla vernice e che si sono impegnati a elaborare equazioni in grado di descrivere lâorbita dei palloni, la tipologia e lâinclinazione degli specchi e via dicendo, affrontando pure ipotesi sulla meteorologia, i materiali, i venti, lâirraggiamento.
La galleria si è cosĂŹ trasformata in un laboratorio con lavagne ricoperte di disegni e numeri, libri, testi, computer, calcolatrici e tutti gli strumenti del caso: un luogo cioè in cui si elaborano dati, si verificano ipotesi, si fa scienza. E danno coraggio le parole di una studiosa dâeccezione come Margherita Hack che, a parte i costi rilevanti, reputa attuabile, con le attuali tecnologie spaziali, lâutopia artistica di un sole dâinverno.