Fa un grande balzo in avanti la
rassegna
Palinsesti che, giunta alla quarta edizione, sceglie una formula diffusa sul
territorio all’insegna della complessità, caratterizzandosi con un’offerta
complessa e articolata, come testimoniato dai cataloghi molto curati a corredo
delle mostre. La manifestazione ha coinvolto, con tempistiche differenti, tre
diverse città, ma come gli anni precedenti le mostre principali sono state
ospitate a San Vito al Tagliamento.
Il senso di labilità dell’opera
d’arte contemporanea, che si trova a far i conti con il peso del tempo e con la
necessità a resistergli, è il concetto chiave su cui è costruita della sezione
Strutture
precarie. Il
termine è in sostanza un ossimoro, due parole necessariamente antitetiche, ma
che forniscono un’idea realmente cartesiana su quale sia una delle tendenze in
atto nel contemporaneo.
Il cartoncino nero di
Emanuele
Becheri collocato
a terra, su cui si intravede il peso e la bava delle lumache che vi hanno
transitato, ne è uno degli esempi più emblematici: la progettualità – pur
presente – concede margini enormi alla casualità, lasciando lo spettatore
avvinghiato alla bellezza di un pensiero minimo. È invece in altra forma la
precarietà di
Manya Kato che assembla una sorta di capanna con dei badili (
Twenty
Legs – Lotus) ma
anche mette in atto un meraviglioso crash tra un’automobilina giocattolo e una
livella. Ben scelta, nella stanza successiva, la sezione video, in cui i lavori
di
Giulia Piscitelli e
Deborah Ligorio risultano particolarmente azzeccati.
La sezione si sviluppa poi nella
fotografia (nelle due sedi), con un’inedita analisi di cosa sia la fotografia
dell’opera d’arte, a partire cioè dalla discussione di quale dia il reale
criterio di oggettività che dovrebbe soggiacere all’aspetto documentativo. Il
risultato è evidente, come testimoniano i lavori di
Alessandro Ruzzier: non è nel nascondersi nel
semplice scatto che il fotografo mette l’osservatore nella migliore delle
situazioni per capire l’opera d’arte; anzi, tanto più – in forma
intellettualmente onesta – il fotografo interpreta, tanto più l’opera è
comprensibile. Un bel paradosso, quindi. Dove sta la vera oggettività?
La sezione
In sesto presenta invece i progetti di un’opera
pubblica da collocare a San Vito. Tutti i visitatori sono invitati a votare
(tra le proposte di
Massimo Poldelmengo,
Michele Bazzana & Nicola Toffolini,
Elisa Vladilo,
Alfred de Locatelli), con una bella forma di
democrazia diretta, non tanto comune nel Belpaese.
Licôf è invece una ricognizione fra gli
artisti dell’alto Adriatico, di cui si apprezzano le tele concettuali di
Nika
Autor, che
sviluppano un processo narrativo suggestivo grazie al testo con cui sono in
relazione, e le installazioni di
Cristina Treppo e
Michele Spanghero, che rispettivamente con
Seconda pelle (realizzata con le forme delle
scarpe in legno) e
R-12 Dvina (che racconta minimale le suggestioni di una performance
audio in un bunker missilistico nell’Europa dell’Est) hanno realizzato due
installazioni, semplici, icastiche ma di grande capacità evocativa.