Dov’è andata a finire l’arte? Il Museo del Niente di Steven Guarnaccia

di - 14 Aprile 2024

Immaginiamo per un attimo di entrare in una casa in cui abbiamo vissuto ma di trovarla vuota, con solo delle etichette lì dove prima c’erano delle cose, dei “ricordi”. Come ci sentiremmo? Forse persi. E cosa proverebbe chi, invece, non ha ancora vissuto in quella casa e non ha memoria di quegli oggetti a noi cari? Forse, niente. Forse. Accade una cosa simile ne Il museo del niente di Steven Guarnaccia, edito da Corraini. Due ragazzini, Otto e Ottavia, vanno a visitare un museo spoglio delle sue opere o, dovremmo dire, delle nostre memorie. Il mondo a colori dove aleggiano le voci dei genitori che augurano ai due un caloroso “divertitevi!” lascia il posto a uno spazio monocromatico, che ha perso i colori, simbolicamente destinati a sbiadire anche nei piccoli visitatori. Man mano che i due giovani protagonisti avanzano tra le diverse sale del Museo, infatti, oltrepassano cartelli con su scritto “Niente di qua, niente di là” o pseudo-opere concettuali come il poster che recita il pensiero filosofico di Isamu Noguchi ma senza le sue sculture, finendo inevitabilmente per avvertire o in qualche modo assorbire quel pericoloso senso di perdita di identità e alienazione che, da sempre, connota il pensiero umano.

Nella galleria Nisba, ad esempio, la piccola Ottavia si preoccupa che l’aria di Parigi, New York o Bangkok, celebre pezzo del padre del ready-made, Marcel Duchamp, stia uscendo dal contenitore che l’aveva trasformata in opera d’arte. Un viaggio nei meandri di una storia che affronta, attraverso il linguaggio dell’arte, quei temi universali su cui i grandi della letteratura mondiale si sono interrogati, in primis “chi siamo” e sui diversi tipi di essere/non essere niente.

Il libro esplora le infinite possibilità dell’immaginazione che si celano dietro le forme, come nella sala dei buchi, dove, tra una ciambella appesa, un formaggio coi buchi e un buco letteralmente illustrato, nell’acqua vi è anche un buco nero che risucchia Otto nella sua singolarità gravitazionale. Con l’escamotage di un abile gioco filo-temporale, Guarnaccia fa attraversare a Ottavia, alla ricerca di Otto, il corridoio “dell’ogni dove”, costellato dalle non opere di Malevich, Ryman, Rauschenberg, di cui restano solo i celebri titoli, a farne percepire l’assenza. Ritrovato il compagno di avventura, che ricorda come in un museo ci si può perdere fisicamente ma anche con la mente, i due, prima di uscire, passano al bookshop dei souvenir del niente dove, ovviamente, si può “comprare 0 e pagare 0” una scarto-lina o un cappellino dove c’è scritto “zucca vuota”, forse una critica al modaiolo merchandising dell’impresa culturale.

L’autore, illustratore e designer americano, riesce con semplici e intelligenti strumenti visivi, come il colore e le parole, enfatizzate da un font stilistico, a comunicare la complessità di certi temi, che diventano comprensibili, a livelli diversi, sia per un bambino che per un adulto, stimolando e provocando con l’ironia la loro attenzione e curiosità.  Alla fine del libro, un simpatico glossario illustrato rivela, approfondendo, i significati e la storia delle opere esposte ne Il museo del niente, riuscendo a dare nuova linfa ad un genere da manuale.

In un tempo in cui tutto sembra voler diventare una disneyficazione del presente, bello o brutto che sia, ci si chiede se l’assenza “dell’arte” ne desterebbe la mancanza. Si è a lungo dibattuto sul ruolo della casa delle muse, il Museo. Un contenitore di oggetti? Un’architettura da archistar? Un attrattore turistico? Un luogo di incontro? Una location cinematografica?

Conservare, proteggere, preservare, valorizzare e, soprattutto, rendere pubblica una collezione, invitando il visitatore a una partecipazione attiva, sono probabilmente tra quei valori che, anche in un futuro prossimo, non scompariranno mai. Corraini, che da 50 anni fa del suo lavoro una missione di «Curiosità e scoperta, abitudine alla leggerezza e al divertimento», con la pubblicazione del libro di Steven Guarnaccia conferma l’insaziabile voglia di sperimentare, in forma aperta, quelle che sono le interferenze e le contaminazioni tra arte e libri, con particolare attenzione ed enfasi al mondo dell’educazione, con quella vocazione munariana che la contraddistingue e di cui è preziosa custode.

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