Fumettistico, poliartistico, Massimo Giacon ha il dono, oggi improbabile più che mai prima, di mimetizzare la sua attività artistica in un tono di sintomatica conversazione e corrispondenza tra le arti. L’arte del fumetto, la costruzione grafica, la pittura, la scultura, la miniatura illustrativa, la letteratura che si raccoglie tra immagine, oggetto, musica, profondità cinematografica, video, le ceramiche, le “palle quadrate”, il no-design, i tribute sulla rivista Linus, è fisiologia e concetto della sfida, corpo e pensiero che mirano alla critica del potere, come insegnano Grandville, Daumier, Philipon, Doré, etc …. Massimo Giacon nasce nel 1961 a Padova. A parte l’attività fumettistica, a cui abbiamo fatto riferimento poc’anzi, e quella di designer, collaborando con Matteo Thun, Atelier Mendini, Sieger Design, Memphis, Alessi, Philips, Zero Design, Swatch e Artemide, negli anni ‘90 sviluppa una coscienza artistica che lo porta ad esibire la sua arte dappertutto nel mondo. Inoltre, per quanto riguarda la sua ricerca come musicista, dopo un decennio di attività musicale con diversi gruppi, nel 1996 esce con il suo primo album da solista, Horror Vacui. Ha inoltre collaborato con artisti e riviste di moda. Nel 2001, alla galleria Lipanjepuntin, presenta la mostra, strutturale per la sua carriera mediale “Philosophers in Pop Planet”, che in un certo senso anticipa e riconduce agli ultimi lavori progettati e realizzati per Emilio Mazzoli.
Da anni nelle sue pagine, nelle sue sculture, nei suoi progetti per il film e per le gallerie d’arte rintoccano cose terribili, non medicabili: ma la lettura dei suoi libri è per paradosso, corrispondente e resiliente; dalle sue immagini e parole, dalle sue note e dalle sue striscie di sagacia e di veleno si sprigiona una specie singolare di agitazione. Dopo che la coazione temporale ci ha disgustato della nostra condizione spazio-tempo, Giacon riesce ad avvicinarsi al passato per una via opposta: quella dell’insaziata curiosità sincretica, dell’occhio che cerca ovunque strane deviazioni umane, obbedienti a leggi occulte della moralità e di annichilimento del presente. Dunque, Giacon è l’ombra che ci accompagna nell’espansione dell’immagine sulla realtà di ogni giorno e la folgora nella sua smorfia perenne. Questo teoretico-illustratore riesce ad essere al tempo stesso un iconografo impenitente. Giacon conosce la precaria eleganza dell’immagine e la sua sostanziale concettualità, la sua leggerezza autodistruttiva e gli dèi, i miti, gli idola che ha affermato e poi dimenticato. Contempla l’interminabile fine dell’arte come un “fine della storia dell’arte”, magari alla Hans Belting, l’angoscia cieca della satira, della risata, della bolgia e dell’amplesso sessuofobico e feticista, per l’esaurirsi delle sue riserve sostanziali dell’assoluto mediatico, le uniche – nelle loro molteplici metamorfosi – che permettano di disegnare e di continuare a vivere. Impaziente di ogni sintesi sistematica, di ogni pretesa di rassettare il caos, Giacon ama presentarsi in due forme che nei suoi libri appaiono felicemente giustapposte. Quella della striscia breve come le ultime pubblicate su Linus, itinerario dal satirico al sarcastico, solcato da continui barbagli, che possono investire un soggetto visionario al posto dell’altro, ogni volta di una luce definitiva. C’è poi quella della scenetta, dove la sua prosa opera una delicata, magistrale torsione verso una incombente tradizione illustrazionista pop. Dati questi caratteri, e in particolare il salutare disprezzo verso tutte le buone intenzioni dell’immagine lineare, che aprono la via al paradosso e all’ottudimento metapop, non può che essere incompatibile con Giacon lo stuolo infinito degli intelligenti non illuminati, che riempiono il mondo dei media. Ma ormai molte altre sue mostre personali ed opere artigianalmente o digitalmente impeccabili sono delle rare illustrazioni totali del nostro tempo.
Questa attualità mediale di Massimo Giacon ha molti altri volti. È stato lui ad esplorare il sottile connubio tra l’erotismo della comunicazione e la comunicazione dell’eros. Nelle parole di Daniele Luttazzi: “L’arte di Massimo Giacon non solo conosce le soddisfazioni erotiche del dolore, ma vuole usurpare alla religione la capacità di elevare il sacrificio e la tortura dall’eccitazione carnale verso la santità. Le mete che ispirano la sofferenza più proficua sono in fondo le stesse che motivano la creazione artistica: sfidare i valori stabiliti, minare le strutture del potere” (dall’introduzione di Daniele Luttazzi a Sexorcismo, 2000). Sexorcismo lo raccomando anche a chi tenti di fare o ricerchi esegesi fumettare, e non rimasticature storiografiche e religiose di un’arte che non è. È un vero omaggio al presente, il suo lavoro di progettista-ceramista che ci offre il Presepe-Giacon, o la «zoologia fantastica» per Mazzoli. Fa piacere la sua ripresa con Linus, vedere che qualcuno capisca la visionarietà di itinerari mitologici, che partono dalle pubblicazioni sceneggiate da Freak Antoni, per arrivare al Philip K. Dick di un universo parallelo. Un antidoto contro le stregonerie, contro le intossicazioni del ‘900, che fanno parlare altre sue riprese fumettistiche riferite a David Bowie, Crepax, Alan Moore ed altri disobbedienti dell’immaginario mediale.
Di solito gli autori si avvicinano a noi, come le navi di carta che osserviamo immoti dalla riva. In Giacon, per chi come me ne segue il cammino dal 1980, la visione è letteralmente rovesciata. Come in quei prodigi d’ottica che ingannano i sensi, egli si avvicina a noi mano a mano che il tempo sembra espanderlo e la sua figura di illustratore, di ricercatore, designer e musicista, in una parola di artista totale, sembra farsi più evanescente. Il mondo cambia, è molto mutato certo dagli anni in cui Giacon esordisce con Il Mago di Mondadori, proseguendo con Frigidaire, Tempi Supplementari, Frizzer, Linus, Alterlinus, Dolce Vita etc … ma ci accorgiamo che esso assomiglia sempre di più al mondo terribile e affascinante che il nostro Giacon ha ammobiliato, indagato, denunciato, sognato, sexorcizzato, aggredito, graficizzato ed esasperato.
Giacon ha ragione. La nostra epoca è divenuta sempre più parossisticamente mediale e noi con essa. È divenuta anche giaconiana, senza che noi tornassimo indietro d’un passo. Se i fumettari odierni non fossero che i “monouso” di un’industria minore, sarebbe fin troppo normale non trovare Giacon tra essi. Ma la maggior parte degli illustratori-artisti, intellettuali e intelligenti, sono politici e sociologi, letterati anche, molti onesti e spesso eminenti. E sono anche degli ottimi no-designer. È l’assenza di peculiarità tra le arti che caratterizza l’intellettuale specifico dell’immagine e della visione contemporanea. Sono lieto di riconoscere a Giacon questo raffinamento propositivo della sua scaltrezza segnica. In Giacon rilevo anche la passione permanente per la poliarte, una passione puramente umana, mossa dall’interesse per il destino del linguaggio narrativo e del segno mediale totale.
Ed allora, buon Giacon, ti offro questa tavoletta infinita da disegnatore, questa tavoletta votiva del metasegno, dell’infinita prospettiva, come traccia, come tag dello spirito insidioso: occhio veggente al cannocchiale del mondo, da una minuscola nave pirata che naviga sopra l’umano e il disumano della storia stessa dell’illustrazione. Ecco, perché sono tra quelli che cercano una nuova narrazione, intrecciata di paradossi e di metafore vive dell’artista. E tu ce l’hai offerta.
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