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Masquerade a Napoli, il futuro dell’entertainment passa per il Comicon
Fumetti e illustrazione
Qualcuno ha detto che gli specchi si usano per guardarsi il viso mentre l’arte serve per guardarsi l’anima. Ma cosa succede se indossiamo una maschera? A volte si sente la necessità di perdersi un po’, di essere qualcun altro. E la maschera funziona così. Ci permette di lasciare la nostra identità in qualche spogliatoio per mezza giornata. Negli ultimi tempi ha assunto una connotazione moralmente negativa, soprattutto nella nostra società, ossessionata da presenzialità, reperibilità e riconoscibilità. E allora lo “smascheramento” del Pulcinella ritratto del celebre disegnatore Frank Miller (300, Batman – Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, Sin City) che getta al vento una chirurgica, affiche della XXII edizione del Comicon di Napoli, assume duplice significato. Un gesto di liberazione tanto agognato ma, soprattutto, il noto adagio: nessuno toglie veramente la maschera.
Nella bellissima illustrazione, il personaggio di Acerra si fa prendere da «Quell’energia, quel ribollire del sangue, quella vibratilità d’un pensiero veloce e impaziente davanti agli ostacoli». Qualcosa di molto simile alla cinetica della folla di giovani e giovanissimi, circa 160mila, coinvolti dalle innumerevoli iniziative organizzate dal Festival Napoli Comicon alla Mostra d’Oltremare, svoltosi dal 22 al 25 aprile. 350 espositori, 500 eventi, 300 ospiti tra cui Zero Calcare, Leo Ortolani, Davide Toffolo, Frank Cho, Johnny Ryan, Sio, Kazunori Yamauchi (creatore di GT – Gran Turismo), mostre e celebrazioni come quella dedicata a One Piece, con un quiz dedicato al “manga dei record”, e poi “Manga Heroes. Gli eroi e i miti alle pendici del Vulcano” allestita al MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli, “Totò, erede di Don Chisciotte. Dal film (mai nato) al fumetto” e tante anteprime di film e serie tv tra cui Bang Bang Baby, La Cena Perfetta, The Bunker Game, Top Gun: Maverick, Io e Lulù.
Ma senza dubbio quello che salta all’occhio rimane il fenomeno del cosplay. La Mostra è stata letteralmente invasa da migliaia di cosplayer di tutte le età, annate, serie tv, manga, cartoni animati, film, videogiochi, con tantissimi livelli e gradi di preparazione dei costumi. Da piccoli particolari, gadget come una pistola, un artefatto magico, uno scudo, fino a vestiti ultra elaborati, che richiedono mesi di preparazione, pezzi da ordinare oltreoceano, perfino una lavoro posturale per il contest previsto al Teatro Mediterraneo.
L’arte del cosplay si è diffusa soprattutto negli Stati Uniti degli anni ’70 con le saghe di Star Wars e Star Trek e poi negli anni ’90 e 2000 in Giappone con la circolazione di manga e anime (serie tv e film) come Naruto, Bleach, Sailor Moon, Dragon Ball, One Piece e tanti altri. Emozionalmente più elaborato, più spendibile a livello costumistico rispetto ai Mecha (i manga dedicati ai celebri robot come Mazinga Z, Goldrake, Gundam, Jeeg Robot) per alcuni studiosi il cosplay è una pratica utile non solo per cimentarsi in una rigorosa imitazione del personaggio preferito, quanto per sfruttarne un canovaccio riconoscibile, su cui articolare significati e caratteri più intimi. Alla ricerca di sperimentazioni e creatività, di sovrascritture possibili riguardanti non solo la propria identità, il proprio sé, estremamente elastico durante gli anni dell’adolescenza, ma anche l’immaginazione del proprio futuro. Insomma un hard work di auto-consapevolezza, di auto-accettazione alternativa ai modelli estetici imperanti, diffusi dai media, spesso esclusivi ed essi, sì, poco conformi alla realtà.
A questo si aggiungono pratiche di cooperazione orizzontale, passaggio di conoscenze e informazioni per il costuming tramite tutorial e forum in rete, tra cui gli standard estetici, regole e tipologie di valutazione delle performance dei tornei (il primo World Cosplayer Championship 2005 in Giapponese fu vinto incredibilmente dall’italiana Giorgia Vecchini con l’arpia Silen di Devil Man). Fino alla capacità raggiunta in Giappone di auto-organizzare la più grande fiera del mondo di fumetto, il Comiket di Tokyo, gestito senza fini di lucro da comitati auto-organizzati e dedicato in particolare alle opere doujin, autopubblicate, di giovani mangaka, che arriva a portare quasi un milione di visitatori ogni anno.
In passato, le fandom (di cui i cosplayer non sono che una minima parte), sono spesso state tacciate di pratiche “sovversive” per la diffusione di lavori di fan fiction, fan video e fan art, casting alternativi di film e serie, trame e ipotesi what if in aperta opposizione con le scelte artistiche e commerciali delle company (Disney, Sony, Paramount, Netflix, Fox…). Ma in realtà sono proprio questi gruppi che massivamente leggono, giocano, videogiocano, streammano, guardano film e serie tv, consumano insomma. Netflix con 214 milioni di utenti, Amazon Prime Video con 150, Disney+ con 18. Twitch conta più di 140 milioni di utenti mensili, Discord 100, poi c’è Youtube con 40 milioni di canali di gaming attivi e 100 miliardi di ore. Senza dimenticare i 728,8 milioni di spettatori degli E-Sport raggiunti nel 2021. Una moltitudine che impone mode, gusti e tendenze al mercato come a noi stessi consumatori. E, soprattutto, induce a una ricerca costante di sovrapposizioni, di sconfinamenti da genere a genere, da media a media.
Non solo Marvel’s Avengers o la già citata Star Wars Saga, franchise che ormai diffondono fumetti, film, serie tv, videogames e che già da anni praticano il concetto di universo espanso. Ma sempre più contenuti vengono calati in un meccanismo di “rimediazione” (dalla toeria di Jay David Bolter relativa alla «Fitta rete di prestiti linguistici e formali» che avviene tra media diversi) artistica, narrativa e linguistica. Una nebulosa multidimensionale di intrecci, storie, personaggi, interpretazioni che trasbordano con azioni e narrazioni multiple. Così famosi manga come Demon Slayer e Attack on Titans sbarcano su Netflix, coinvolgendo diverse tipologie di pubblico o assumendone regole e ritmi tipici delle piattaforma, come successo per il live action dell’anime Cowboy Bebop. Oppure i videogiochi HALO e The Witcher, che diventano serie tv di successo o produzioni in cantiere come Tomb Rider, Assassin’s Creed e Resident Evil, che aprono a scenari e audience vecchi e nuovi, mischiando gamers e watchers. Famose case editrici di manga come la Shueisha (Slam Dunk, One Piece e One-Punch Man) che annuncia una divisione dedicata ai videogiochi, la Shueisha Games. Senza dimenticare Arcane, splendida serie anime su Netflix sviluppata da Riot Games e ispirata al videogioco di battle strategico League of Legends, diffusissimo tra i giovani grazie a numerosi tornei di E-Sport, content ormai tra i più dinamici e capace di sfidare sul piano dei numeri, con dirette streaming e il pubblico che riempie le arene, gli eventi sportivi mondiali più importanti.
Insomma, potremmo definirlo un Blue Cube, una galassia che aggrega, informa, ridefinisce e influenza tipologie di content e di piattaforme diverse, di gruppi di fandom con interessi e visioni spesso alternative. Proprio i tornei dedicati ai simulatori Fifa 22, Football Manager, Tennis World Tour, gli sparatutto Valorant, Apex Legends e strategici come Pokèmon Unite e, appunto, League of Legend, con vari circuiti, tra dilettanti e giocatori pro (Pow3r Jiizuke, Sekuar, Paolocannone, Nello Nigro) hanno avuto grande spazio e attenzione al Napoli Comicon. Alla convention non potevano mancare inoltre content creator come GSkianto, Imviolet, Nello Taver, David Rubino Kurolily, Sbriser, Grax, Sabaku no Maiku, Ckibe, Mr Flame e Tutubi del Talk Show Cerbero.
Protagonisti di live trasmesse direttamente dalla Mostra, espressione vivente di una fluidità cross-mediale, di esistenze perennemente ritratte, digitalmente e linguisticamente sovrascritte, sovraraccontate, ricondivise. Soggetti tra i più seguiti del web, calati totalmente in una dimensione di entertainment fluido, mescolato a tutti livelli (consumo, recensione, influencer marketing, intrattenimento, talk show), sfuggiti alle pareti del proprio acquario-canale e che attraversano ormai stabilmente la vita reale con dirette no stop (le IRL, In Real Life) in giro per le città o tra eventi e luoghi di socializzazione.
Qualcosa che ricorda la wellness syndrome praticata dal collettivo artistico Total Refusal nel gioco open world Tom Clancy’s: The Division, durante la “Operation Jane Walk – 2019”. Gli artisti gironzolavano per la città descrivendola, evitando scontri e scaramucce con altri giocatori, immersi nelle atmosfere metropolitane di una New York angosciante e silenziosa, praticando una “appropriazione artistica”, una rilettura delle regole e della filosofia dell’ambiente videoludico. Qualcosa di simile ad altri reportage fotografici, come quello dell’artista americano Alan Butler, dedicato ai senzatetto e al degrado metropolitano nel videogioco open world GTA V, o ancora i paesaggi lunari del videogame post-apocalittico Death Stranding, ripresi dal fotografo svizzero Pascal Greco. Insomma un learning by walking che riscrive spazi, obiettivi e di conseguenza forme e caratteri dei soggetti.
Più che cross-medialità o rimediazione stiamo assistendo dunque a un processo di riscrittura generalizzato dell’intero universo entertainment che, tecnologicamente e socialmente, si scopre più sensibile a stimoli e mutamenti rispetto ad altri universi (arte, sport, informazione) e, perciò, in grado di fungere da calamita e da sentinella. E come l’arte si sta aprendo al mondo degli NFT e dei vari metaverso, così anche il colosso dei videogiochi Ubisoft ha creato la piattaforma Quartz, dedicata allo scambio e all’utilizzo di token non fungibili all’interno di titoli come Tom Clancy’s Ghost Recon Breakpoint, mentre la casa Konami ha lanciato propri token non fungibili della serie Castelvania (artwork o oggetti in-game tratti da vari capitoli della saga).
La strada è dunque tracciata? In futuro non troppo lontano, le convention acquisiranno terra su piattaforme come Sandbox, con espositori virtuali, collegamenti e incontri con gamers, personalità, artisti e, ovviamente, esponendo NFT, artwork, disegni e tavole digitali. E, siamo sicuri, sarà ancora una volta il Napoli Comicon (che raddoppia nel 2023, con l’edizione speciale di fine giugno di “Bergamo Comicon”, che con Brescia sarà la Capitale Italiana della Cultura 2023) a mostrarci, alla sua maniera, la strada per questa avventura. Verso Jupiter and beyond.