Ma rifacendosi a Klee, aveva sottolineato che: «La pittura è il risultato non solo della riflessione sul reale visivo, ma soprattutto della messa in evidenza del sotteso, dell’invisibile, che attraverso le immagini l’artista rende visibile».
Oscar Momi è un pittore, un pittore che dipinge quadri astratti. Fatte queste premesse, vorrei fare qualche considerazione per superare quel senso di imbarazzo che anche i maggiori critici avvertirono negli anni ‘40 e ‘50 perfino nell’interpretare il senso delle opere di un artista come Pollock. Il supporto nei suoi quadri è sempre la carta, che ha una specie di vita propria: rugosa, liscia, opaca, neutra. Normalmete è ideale per lo studio, l’appunto a grafite, il disegno.
Momi non disegna, ma colora direttamente, senza progettare l’immagine, con delle grosse matite ad olio, che hanno la possibilità di velare delicatamente o di essere violentemente coprenti. A questo punto entra in azione il terzo strumento (dopo il supporto ed il colore), la lama, che avvicina l’artista più ad uno scultore che ad un pittore.
Con quella lama toglie come fa lo scalpello con il marmo o il legno, gli strati in eccesso, lasciando trasparire i colori sottostanti che diventano vere trame luminose.
Pare che tutto sia nato dai riflessi di luce filtrati dalla persiana del suo studio e proiettati sulle tende dello stesso, quasi ad avvalorare la tesi di Ross Bleckner che dice: «Penso che dietro ad ogni astrazione vi sia figurazione». È inevitabile quindi pensare alle vetrate dello studio di Mondrian, ai tappeti con i loro geroglifici dell’infanzia russa di Kandinsky, o a quello che rappresentava il quadrato per Malevitch. Oppure a quanto debbano i suoi quadri oltre che alla luce, alla sua formazione di musicista, con la quale condisce il ritmo con cui sono scandite le immagini, con riferimenti concreti ed allusivi leggibili anche da alcuni titoli delle sue opere.
A partire da questa struttura fissa che l’artista ha scelto di imporsi (il foglio di carta), egli dà libero corso alla sua fantasia, che si esprime sia attraverso il cromatismo di cui esplora tutte le possibili combinazioni, sia per mezzo dell’esecuzione tecnica la cui finezza e sensibilità accrescono l’effetto visivo. Essendo fissa la struttura, il dinamismo spaziale nasce tutto dalla fattura e dalle scelte cromatiche. Incrociandosi e sovrapponendosi i filamenti colorati intessono trame luminose generando un’intera vibrazione ottica.
Così che nasce uno spazio totale che coinvolge lo spettatore in una piena immersione nel colore, una completa identificazione di spazio-forma-colore, e con una tessitura che anima la superficie di vibrazioni trasportandoci in un mondo di pura emozione.
Le trame luminose di Momi appartengono quindi al mondo delle sensazioni e la profondità dello spazio nasce dalla sovrapposizione degli strati di colore che si percepiscono, si intuiscono appena, in trasparenza. La composizione è ordinata secondo l’incrocio dell’orizzontale, la verticale e la diagonale (le tre dimensioni care a Dorazio) come se tra orizzonte e forza di gravità la diagonale fosse il tempo e quindi una direzione preferenziale per uscire dall’incastro.
Dunque Momi fa suo il principio di una superficie pittorica ricoperta in maniera omogenea senza punti culminanti, come ripartendo dalle intuizioni degli impressionisti (Monet), dal dinamismo dei futuristi, e dopo di loro negli anni ‘50 dai pittori astratti americani, negli anni ‘60 in Italia da Dorazio e Tancredi, e ai nostri giorni da Scully e Bleckner.
La pittura di Momi si impone come simbolo attivo della perennità dell’arte che abbraccia tutte le nostre esperienze e che si rivela a noi come finestra socchiusa su questa passione misteriosa, insostituibile che è l’arte.
Ettore Buganza (dal comunicato stampa)
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grazie
Ho trovato il messaggio del mio amico MOMI, e vi scrivo da casa sua. Penso che fate un ottimo servizio sia con la gestione delle immagini che dei testi, e le vostre pagine siano ricche ma non pesanti. Non facile...
ciao