Quando dal book-shop si entra nell’ambiente espositivo vero e proprio, ci si trova immersi in uno spazio assolutamente bianco, profondo e rettangolare. La prospettiva della sala è tale che le sue estremità non sono chiaramente visibili da un punto fisso. É necessario percorrerla interamente per capirne l’inizio e la fine. L’alto soffitto incontra le pareti in un’immagine di ampio respiro. Il tutto è assolutamente asettico.
Lo sguardo è portato, quasi per un effetto di contrasto, sui colori immediatamente intensi e drammatici delle opere – complessivamente trentacinque – di cui tre sculture: Martín Chirino, Vientos III (1964); Martín Chirino, Aerovoro (1972); Equipo Crónica, Menìna-Miró (1976).
E’ possibile ammirare la produzione di artisti dalle sensibilità e traiettorie profondamente diverse tra loro, uomini che – a partire dalla lacerante situazione di “esiliati perenni” – hanno lavorato e percorso strade parallele e dissimili, a favore della modernizzazione del proprio paese.
In una Spagna (quella del dopoguerra prima e del regime del generale Franco poi), dove il solo parlare dello sviluppo dell’arte contemporanea, il solo puntare sulla novità, in una parola il solo tentativo di incontrare la modernità, significava assumere – pur non allontanandosi dal proprio territorio – la condizione di esiliato.
Un’esilio culturale e umano che, spesso, ha significato il dovere iniziare e il ricominciare, quasi da principio. Mentre negli Stati Uniti e nell’Europa del secondo dopoguerra il movimento moderno era già stato consacrato come arte ufficiale, nella terra di Martin Chirino, Antoni Tàpies e Manuel Millares, si viveva in un clima di cambiamento ricco di manipolazioni, contraddizioni e, per così dire, situazioni particolari.
In questo contesto di “esilio-particolare”, chi si occupava d’arte doveva non solo rivendicare la modernità come valore, ma anche risolvere molte questioni relative alla propria identità culturale. Perciò, all’incrocio tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, l’artista spagnolo avverte la necessità di ritornare all’elemento autoctono, al proprio passato e, nello stesso tempo, si interroga sulla necessità di un suo radicale superamento. Le opere di artisti come Rafael Canogar, Lucio Muñoz, Gustavo Torner, Luis Feito, Josep Guinovart, Joan Hernández Pijuan o Albert Ràfols-Casamada si possono apprezzare proprio tenendo presente il contesto storico sociale e politico, in cui si collocano.
E’, quindi, da questa “condizione particolare” di “uomini in esilio” che ha inizio quella che si chiama la “differenza spagnola” (Eugenio Carmona): un periodo che copre gli anni compresi tra il ’50 e il ’70; un fermento artistico e culturale che, per esempio, nella pittura di Antonio Saura trova una delle sue massime espressioni.
All’interno di uno stesso spazio espositivo, si trovano dunque raccolte insieme opere di Rafael Canogar, Lucio Muñoz, Gustavo Torner, Luis Feito, Josep Guinovart, Joan Hernández Pijuan o Albert Ràfols-Casamada, artisti che manifestano differenti sensibiltà, anche con l’uso di una pluralità di tecniche e di materiali: il ferro battuto, l’olio su tela e su legno, la tecnica mista su tela di sacco e su legno, l’acrilico su tela, la tecnica mista e il collage su legno, il collage di carta vetrata, l’acrilico su masonite e l’acrilico su cartapesta.
E’ come se in alcuni autori spagnoli si vedessero le tracce di un percorso che dal surrealismo arriva fino ai confini della sensibilità pop, toccando i domini dell’arte della materia e in certi casi dell’arte povera.
Certe opere offrono a chi guarda la possibilità di un intenso dialogo, sia sul piano sensoriale che concettuale. In tal senso, soprattutto, i lavori di Canogar e di Feito rendono evidente la tendenza all’essenzialità.
Chi osserva può, inoltre, essere colpito dalla drammaticità di alcune composizioni, una drammaticità che mette in diretta relazione l’artista con il contesto socio-politico, in cui si trovava a vivere. D’altra parte, non è meno vero quanto afferma Juan Eduardo Cirlot quando parla di “buon gusto” e “di finezza”, a proposito dell’opera di un artista come Manuel Millares.
Tullio Pacifici
Un ponte tra Italia e Stati Uniti: c'è tempo fino al 30 gennaio 2025 per partecipare alla nuova open call…
Ci lascia uno dei riferimenti dell’astrazione in Campania, con il suo minimalismo, rigorosamente geometrico, potentemente aggettante nella spazialità e nell’oggettualità.…
Una mostra interattiva per scoprire il proprio potenziale e il valore della condivisione: la Casa di The Human Safety Net…
Al Museo Nazionale di Monaco, la mostra dedicata all’artista portoghese Francisco Tropa indaga il desiderio recondito dell’arte, tra sculture, proiezioni…
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…